mercoledì 22 dicembre 2010

GiocATTOli.

ATTO PRIMO
Mi hai guardata
e ti ho incontrato.
Non te l'aspettavi

e i tuoi occhi sono corsi via da me.

ATTO SECONDO
Ho provato a rincorrerli
volevo riprenderli.

Avevi iniziato tu
presto il gioco s'é invertito

e i miei occhi sono corsi via da te.

ATTO TERZO
Ci siamo divertiti
finché il tempo c'é stato
poi il tempo é scaduto
e cosí sia.

(Sulle nostre carte d'imbarco
destinazioni diverse)

SIPARIO.


Puoi dare le regole che vuoi al gioco
ma la prossima volta
io rompo la clessidra
e trucco i dadi.

giovedì 16 dicembre 2010

L'uomo della mia vita é un fruttivendolo.

Secondo mia madre, l'uomo della mia vita dovrebbe essere un fruttivendolo. Dal suo punto di vista ci sarebbe un risparmio economico notevole, considerate le quintalate di frutta che mangio ogni giorno.
Pensandoci bene, probabilmente non ha tutti i torti, e non solo per questioni di bilancio.

Prendiamo lo stereotipo del fruttivendolo:
-duro lavoratore
-insensibile alle intemperie
-magari non particolarmente istruito (anche se non é detto, certo)
-passa le sue giornate svolgendo un'attivitá piú che altro fisica
-intrattiene fugaci conversazioni sul tempo e su altre banalitá di circostanza

L'uomo perfetto. E vi spiego perché.

1)Che sia un duro lavoratore, va da sé che va benissimo, tanto piú se consideriamo che il fruttivendolo esce di casa molto presto la mattina, quindi lascia campo libero ancor prima che la sua compagna apra gli occhi. Particolare non trascurabile, visto che in questo modo si eviterebbe di vedere il proprio uomo nella sua versione peggiore, appena sveglio (completo di occhi cisposi, fiatella assassina e capello, se c'é, in tutte le direzioni).

2)L'insensibilitá alle intemperie lo rende un potenziale ottimo papá, in grado di portare i marmocchi al parco (tanto, non si sa bene perché, i bambini il freddo non lo sentono) anche quando la temperatura esterna é -7, consentendo alla compagna (freddolosa e stanca dopo una settimana di duro lavoro mentale tipico della donna in carriera) di riposarsi e dedicarsi ai propri hobbies, di qualunque natura essi siano.

3)Questo é il punto nodale. NON PARTICOLARMENTE ISTRUITO. Meraviglioso. Una persona lineare, che se c'é un problema non si perde nei meandri dei discorsi che inizia e che non sa finire, un uomo senza il filtro della cultura eccessiva, che non sia rincoglionito dagli schemi mentali che le sue ENORMI competenze in: ingegneria, architettura, medicina, ecc. gli hanno gentilmente conferito.

4)L'attivitá fisica, se derivante da una passione (e si presuppone che il nostro uomo sia un fruttivendolo APPASSIONATO), non stanca la mente. Almeno, non troppo. Questo permette all'individuo in questione di concentrare le sue attivitá cognitive la sera, quando deve avere a che fare con la sua compagna e i menzionati mocciosi. Avendo accanto un ingegnere, per esempio, ció non é possibile: l'ingegnere E' STANCO, ma a un livello di profonditá che il fruttivendolo se lo sogna. E meno male, dico io. L'ingegnere ha "ragionato" tutto il giorno, perció é del tutto legittimo che la sua corteccia pre-frontale venga cestinata appena varcata la soglia di casa. Sí, come no.

5)Le conversazioni superficiali lasciano il tempo che trovano, mantengono la mente allenata alle relazioni con altri esseri della propria specie, ma, quando caratterizzano tutta una giornata, risvegliano il desiderio di parlare anche d'altro, di approfondire. Ottimo, dal momento che la compagna in carriera, che a differenza dell'uomo in carriera (ingegnere, architetto, ecc.), ha SEMPRE voglia di parlare di sé, di quello che fa, dei bambini e di come crescono, e delle iniziative che la sua azienda promuove, e di quanto si senta realizzata e/o delusa, ecc., sará ben contenta di utilizzare il magico fruttivendolo come contenitore delle proprie esondazioni emotive.


Corollario: la teoria é applicabile anche a mestieri quali muratore, falegname, artigiano e cosí via.


Morale della favola: Se proprio vi serve un uomo, scegliete un fruttivendolo.
Se non vi serve, meglio cosí.

lunedì 29 novembre 2010

Neve.

Cancelli l'impronta

del mio desiderio.

L'avevo lasciata lí

perché la vedessi

e vi appoggiassi dentro

la tua.







Era una possibilitá.

domenica 28 novembre 2010

Vita quotidiana.

Non ne posso piú di elucubrare su tutto.
Succede che siete per strada, per esempio, e vedete (voi e almeno altri trenta milioni di persone nel mondo nello stesso momento, quindi c'é poco da sentirsi speciali) un'immagine che vi colpisce "nel profondo", cosí si dice per amplificare il valore della cazzata che si sta per dire, giusto? Ecco.
Che poi si tratti di una foglia che cade da un albero (bella novitá, se sei a novembre), due innamorati abbracciati (e basta con sto romanticismo di quarta categoria, adesso vanno di moda i limoni in pubblico, vecchi! Aggiornatevi), un bambino che urla (e di solito vorresti sgozzare ma non sei sufficientemente coraggioso per farlo), un negozio chiuso o un topo di fogna che corre, poco importa.
Via col viaggio, nuovo film cult dopo "Via col vento".
E va a finire che ti ritrovi a scrivere mentre cammini, sí avete capito benissimo, MENTRE CAMMINI, per non perdere il succo del trip che ti stai facendo e il resto del mondo ti diagnostica una squilibrata di prim'ordine.
Prendiamo ieri.
Me ne tornavo bel bella verso casa, quando ho sentito una musica natalizia in lontananza. E tac! Come premio Nobel delle banalitá, a cosa ho pensato? Alla mia infanzia. Ragazzi, che fantasia. Ho pensato a quando la banda passava sotto casa, e tutti i musicisti erano vestiti da Babbi Natale, e io e mia sorella lanciavamo i soldi dal balcone (settimo piano, terrei a sottolineare). E non fate quelle facce, al Sud, da me, funzionava cosí. Ed era BELLO.
Invece no, tutta 'sta didascalia commovente l'ho costruita per poi sbattere il muso sulla neo-realtá che mi si é parata davanti: quattro senzatetto che cercavano di rimediare qualche spicciolo suonando un po'. Gente che non se lo puó permettere, il travestimento da Babbo Natale.
Quando la magia va a farsi fottere, perdonatemi la volgaritá.
Cercando, figlia ipocrita del mio tempo, di scacciare questi pensieri tristi da una mente giá debilitata, mi sono allora concentrata su altro.
Con effetti nefasti, ovviamente.
Mi sentivo particolarmente polemica, e ho iniziato a riflettere sull'espressione tanto usuale "vita quotidiana". Ma scusatemi tanto, che diamine di senso ha?! Esiste per caso una vita non quotidiana? Ci si ostina a usarlo, quest'accostamento, e spesso assume una connotazione di routine, noia, cose che si fanno sempre.
Bé, é un errore bell'e buono, secondo me.
Per quello che ne so io, la vita non é mai quotidiana, non ripete, come Paganini. E' per questo che la noia mi fa rabbia, é uno spreco di tempo auto-inflitto. Vabbé, mi sto perdendo come al solito nei meandri delle idiozie che scorrono in sovrimpressione sulla mia corteccia cerebrale.
Esistenzialismo da due soldi, lo definirei.
Quando, poi, il mio sentimentalismo sfrenato viene spento dalle demenziali scene alle quali assisto, in genere al bar, mi dico che devo essere proprio imbecille per lasciarmi ancora prendere dalle favolette che mi disegno in testa.
Stamattina stavo facendo colazione, e al tavolo accanto al mio era seduta la donna che credo sia il sogno dell'intera popolazione maschile del mio quartiere. Altissima, di colore, fisico da paura, capello fluente, sorriso perfetto e occhi di ebano, benvestita, gentile...e sposata. Dettagli, quando é sola.
Se ne stava tranquilla a bere il suo lattecaffé, e nessuno la disturbava, a parte qualche occhiata furtiva ogni tanto, cosí, per una breve scossa di piacere mattutino. Dopo poco lei si é alzata ed é andata al bancone a pagare.
APRITI CIELO (e inghiotti tutti i cascamorti, per favore).
Divertente, e anche un po' patetico, osservare il livello di rimbecillimento degli uomini quando hanno la possibilitá di scambiare due radiografie...scusate, due parole, con una bella signora. Le scuse per attaccare bottone diventano le piú svariate: dal digitale terrestre che io ce l'ho lei ce l'ha noi ce l'abbiamo ebbene ora che abbiamo fatto la conta che abbiamo concluso, al pizzetto del barista che "sí mio padre mi diceva che sembra una fila di formiche". Fammi un favore, taci, tu e quelli come te.
Anzi no, dimmi, piuttosto: come si fa a competere con una tale, lucida idiozia?
E qui, c'é chi dice STOP AL TELEVOTO, chi STOP ALLE TELEFONATE, chi, come me...
STOP AL DEGRADO.

mercoledì 24 novembre 2010

Esporsi allo sputtanamento.

Qualche giorno fa ho scritto, su Facebook, che non esiste grande differenza tra l'esporsi e lo sputtanarsi, in fondo.

Bene, é una cazzata.

Se recentemente mi sono esposta, adesso voglio sputtanarmi.



Lo faccio perché tanto c'é e ci sará sempre, nonostante i miei sforzi, il mio prendere le misure prima di agire, il pensare il ragionare il ponderare (orrore!), qualcuno per cui non saró mai ABBASTANZA:

-carina

-intelligente

-brillante

-simpatica

-sexy

-interessante

-affascinante

-sorridente

Oppure lo saró troppo, che non va bene lo stesso.



La veritá, comunque, é che ormai non me ne frega niente.

Io mi piaccio cosí come sono, con le mie imbranature esagerate, la mia insicurezza mascherata da sicurezza, il mio nascondermi dietro una buona proprietá di linguaggio e la mia sensazione di non essere mai nel posto giusto al momento giusto.

Quindi basta.

Tanto per cominciare, non ho una rotella che giri per il verso giusto, neanche per sbaglio.

E' come se dovessi gestire perennemente una gemella siamese con un carattere opposto a quello dell'altra.

Una si sente una gran paracula, un po' maschiaccio, sofisticata allo stesso tempo, un po' stronza, sarcastica, aggressiva e sicura del fatto suo e della sua indipendenza ostentata come cavallo di battaglia.

L'altra é una palla al piede, con tutto il rispetto.

Insicura, si sente piccola, indifesa, s'intristisce facilmente, passerebbe la vita a farsi coccolare. Esperta decennale in figure di merda, ne fa di continuo, lasciando alla sua gemella l'onere di rimediare, col risultato di mostrare al mondo una grave dissociazione mentale (non dimentichiamo che questi due personaggi sono riuniti in una persona sola, quindi che splendido effetto fará il passare dagli occhioni dolci alle risposte al fiele nel giro di un nanosecondo).

Una ragazza equilibrata, non so se mi spiego.



I rapporti interpersonali sono un gran casino, quasi piú di quelli intrapersonali accennati poc'anzi.



Intanto torno alla prima persona, altrimenti veramente non si capisce piú un beneamato.

Dunque, dicevo. Ho piú successo con le donne che con gli uomini. Le donne mi trovano entusiasmante a dir poco, mi elogiano spesso e volentieri, mi cercano, mi scelgono come punto di riferimento.

Le donne colgono il giusto dosaggio tra le due gemelle, e si prendono il buono di entrambe. Che vi assicuro, c'é, anche se magari non si vede subito.



Gli uomini...fondamentalmente mi mollano. Ammesso che si avvicinino, il che non é scontato.

Ultimamente un ragazzo mi ha detto, mentre aveva la fortuna di osservarmi in una fase in cui prevaleva senza dubbio la gemella stronza in versione amplificata: "Io proprio non riesco a immaginarlo un uomo per te. Dev'essere troppo cazzuto."

In effetti non guasterebbe, mio caro.



Eppure, quando nei paraggi c'é qualcuno che m'interessa, la gemella piattola&femminuccia domina, e succede che, in rapida sequenza, io sia in grado di:



-perdere la facoltá di deambulare, cadere dai tacchi (le rare volte che li indosso)

-dire la prima stronzata che mi passa per la testa dimostrando facoltá cognitive piuttosto ridotte

-immaginarmi brutta come una rana con l'acne e, in caso di complimento, rispondere con uno sconvolto:"ah sí?", diventando color arcobaleno e magari riuscendo anche a fare una smorfia orrenda, frutto marcio dell'incrocio tra un sorriso e un'espressione di disgusto

-iniziare a parlare come un'afasica, o in alternativa non capire un accidenti di quello che mi viene detto, e chiedere di ripetere sessantacinque volte al mio interlocutore

-sudare chediocelomanda

-atteggiarmi a fumatrice, quando in realtá fumo una sigaretta ogni tanto, col risultato che ogni volta mi gira la testa, e anche se non mi dispiace l'effetto, mi sento piú cretina di prima

-cedere il posto a Miss Hide, la gemella stronza, che in genere riprende il controllo mandando a fanculo se stessa, poi gli altri, ma sempre con innata classe, eh!



La situazione é drammatica, e non tanto perché spesso il mio atteggiamento manda in confusione, incuriosisce e allontana allo stesso tempo, quanto per il fatto che le persone che conosco fanno fatica a inquadrarmi. Sono un po' fuori dagli schemi, diciamo, e l'essere lunatica mette in crisi non solo gli altri, ma anche me stessa (una terza? No, per caritá), quella che vorrebbe categorizzarsi, mettersi in ordine e tranquillizzarsi.



Bé, sapete che vi dico?

Che mia nonna ha sempre avuto ragione (anche se é incazzata con me da due mesi e quindi dovrei fare un po' la sostenuta): lei dice



TUTTO A POSTO E NIENTE IN ORDINE.



E questo, sono io.

lunedì 8 novembre 2010

Cosa importa.

Non m'interessa averti
anche meno
che tu abbia bisogno di me.
Preferisco
la certezza insolente
di essere entrata in te
un giorno, per caso
e sapere che l'idea di me
semplice, spoglia
inaspettatamente possa affiorare
mentre vivi la tua vita
per conto tuo
da me distante.
Il pensiero della mia persona
ti sará accanto
qualche volta
discreto e superfluo.
Presente,
sopra
tutto.

sabato 6 novembre 2010

Dateci una lezione.

Ore 9:00.
Prima lezione della giornata.
Una classe di debosciati.

(Non é sempre stato cosí, comunque.
Il crollo della motivazione si é verificato in seguito a una serie di circostanze frustranti, che hanno fatto in modo che il Fronte Studentesco si coalizzasse per sabotare i soporiferi corsi.)

Il professore entra in aula con l'entusiasmo di un condannato alla forca, dice un fiacco "Buongiorno" e osserva i suoi spumeggianti studenti che, angosciati dalla prospettiva di una mattinata noiosa almeno quanto la messa cantata, entrano ed escono dalla classe fluttuando. Piú morti che vivi (zombies, praticamente), si aggirano tra la macchinetta del caffé, dalla quale sperano di ricevere una botta di energie che non arriverá mai, e i loro posti a sedere.

Poco dopo, la spiegazione ha inizio.
Se il prof. gridasse:"Al mio segnale, scatenate l'inferno!" probabilmente si creerebbe meno casino.

La prima fila, occupata da un paio di impavidi che la lezione l'ascoltano, o almeno ci provano, non si sa bene se per spirito di sacrificio o per reale interesse, viene ininterrottamente disturbata dalle seconda e terza fila, dove un gruppo di quattro/cinque squilibrate non trova di meglio da fare che lanciare improperi (a voce piuttosto udibile, tra l'altro) contro:

il sistema universitario
gli esimii professori, interessati unicamente al loro lauto stipendio
il corso di laurea che stanno frequentando
se stesse per aver fatto una scelta sbagliata
la crisi
i soldi
l'Italia
la politica
il futuro
il tirocinio non pagato
il lavoro che non c'é e forse non ci sará
fidanzati, genitori, cani gatti & affini
ecc ecc.

Le uniche occasioni in cui si zittiscono, sia loro che le retrovie (altrimenti chiamate "il mercato del pesce" per la confusione che vi regna sovrana), é quando diversi studenti portano con sé il pc.

"Salvati dal wireless".
Sembra il titolo di una puntata idiota di qualche telefilm altrettanto idiota.
Ad ogni modo, col computer alla mano é tutt'altra storia.

L'orribile, inutile lezione diventa a dir poco esaltante.
La seconda fila chatta su Facebook con gli occupanti delle ultime file, un gruppo di anarchico-insurrezionalisti della peggior specie, e un'atmosfera da cospirazione si diffonde.
Le parole del prof. vengono volutamente travisate e assumono significati sessuali, le retrovie commissionano pacche non proprio delicate ma amichevoli agli unici FOLLI che si ostinano a concentrarsi sulla lavagna luminosa, e nel frattempo vengono pubblicati video assurdi sulle bacheche del social network. Senza contare le risatine, che si sprecano e sono consapevolmente poco discrete.
Tutti diventano complici di una sommossa SUBLIMATORIA.
Quel che accade é la manifestazione di una compensazione un po' crudele delle frustrazioni subite negli ultimi anni a causa di un insieme di Adulti ET Professionisti, il cui cavallo di battaglia é l'OTTIMIZZAZIONE (e se la qualitá va a puttane, chissenefrega).

Ecco, a cosa serve la Psicologia (ahahah).

Una Voce.


Mi sono chiesta spesso quale sia il meccanismo che regola l'entrata e l'uscita delle idee dalla mente.

Cosa succede quando un pensiero diventa fisso, si aggrappa ai tuoi neuroni e dirige le tue sinapsi, come un direttore d'orchestra che scelga di far suonare sempre la stessa sinfonia, senza sosta, ai suoi musicisti sempre piú confusi?

Questo non lo so, ma la melodia la conosco bene.

Una voce si é fatta spazio nella mia testa. Piú precisamente, é come se avesse subaffittato un enorme attico dentro il mio cervello, e vi si fosse installata portando con sé un contorno ricco, fatto di mobili, suppellettili e oggetti di ogni sorta.
Un'inquilina ingombrante, a momenti fastidiosa eppure adorabile.

Rinunciarvi non é possibile ormai, non rimane che cedervi, o resisterle.

E' una voce suadente, conosciuta per caso. Il suono che produce richiama immagini e desideri ben riconoscibili. Desideri che non desidero avere.Eppure son qua.
Parassiti delle certezze costruite negli ultimi tempi un po' per necessitá, un po' per convinzione.

Insomma, cazzate.
Cos'é, poi, una certezza?

...

Forse solo l'immagine di me, che ancora una volta scrivo di notte pensando a cosa (chi?) diventa ospite senza aver ricevuto l'invito.

(Buonanotte anche a te, mia bella Voce)

mercoledì 3 novembre 2010

Io, me e Cohen.


Cohen mi parla stasera

a voce bassa, insistente e calda

"avanti, avanti ancora,
fin dentro la tua immaginazione agonizzante".

Fossi in me
eviterei

ma in me
non sono mai

(veramente mi piace cosí)

E allora

navigazioni prolungate
dentro scenari irrealizzati irrealizzabili

realizzabili(?)

non lo sai
finché non ti capita

di aggredire un viso
quel viso

alla ricerca di un segnale

mentre diffondi

-ingombrante abat-jour emozionale-

un' inquietudine soffusa

unita a brevi compulsioni
piccoli riti di attesa


di cosa, poi

-giovane accattona d'illusioni-


cerchi un contatto
che dia ragione
all'agonia inutile
dei tuoi viaggi mentali.

Li hai forzati
e la logica anche stavolta


-tanto per cambiare-

l'hai allontanata

dove andremo a finire

No mia cara
dove andrai

io
se non ti spiace
stavolta me ne lavo le mani.

lunedì 11 ottobre 2010

Drink up baby, stay up all night.

Pensare lucidamente

nella musica

nella gente



pensi che dev'essere curioso

il personaggio che interpreti

un po' bohemien, un po' stronzo.



Li osservi tutti dall'alto

di un bancone da bar

il trono dell'alcolizzato



e tu cosa sei



ubriaca sempre di tutto

di alcool mai.

Langue il tuo unico rhum cooler

nel bicchiere sempre mezzo pieno



é proprio il caso di dirlo



pende dalle tue labbra.



Intorno

movimenti rocamboleschi e precisi

follie da bar

dove si toglie il tappo ai pensieri

non solo alle bottiglie.

sabato 2 ottobre 2010

Autunno

Congiunzioni oblique



di tempo e spazio

infinitesimali fuggitive accelerazioni

di battito

cerebrale



integrale e sfacciato



come il nudo che attendo

nel mio letto.



Riuscire a spogliarlo

del pudore



saluto coraggioso alla Natura



dei sensi miei

divenuti suoi



puó darsi.



L'incontro tattile

esiste attrito dolce



e una carezza fa scintille.



Il calore di una mano

fa il resto

di una notte autunnale



sola e un po' stordita

sono io



precipitata dentro un sorriso

par hasard

o forse no



me la sono cercata.

mercoledì 29 settembre 2010

Les enfants terribles

Ci sono tanti tipi di risvegli.

Apri gli occhi, anzi neanche li apri, semplicemente allunghi il braccio e trovi qualcuno, o qualcosa.
Un gatto un uomo tua sorella un'amica un amico un vuoto. Magari tutte queste cose insieme. In quel caso non hai bisogno di cercare, la scomoditá dei dieci cm che occupi é giá un valido informatore.
Per quanto mi riguarda, dormire con mia sorella é sufficiente per rischiare di crollare giú inesorabilmente ogni cinque minuti, perché lei si muove continuamente, nuota nel letto, e fra calci, gomitate e posizioni assurde ti sembra di essere a un concerto, sul parterre.

A volte nel letto trovi chi non vorresti trovare, a volte non hai neanche bisogno di stendere il braccio, sai giá cosa o chi c'é, o chi vorresti che ci fosse e invece non c'é.
Altre volte sei ben contento di startene da solo, a rotolarti come un involtino nel sugo caldo delle coperte invernali, apprezzando una solitudine genuina, che non é solitudine, é spazio che ti sei concesso.

Io dico che i risvegli sono importanti.
I momenti prima di dormire, comunque, lo sono di piú.
Ieri sera é stata una risata continua, da crampi allo stomaco e alla mandibola.

L'affinitá tra le persone é un'alchimia misteriosa, quando c'é sembra che tutto combaci perfettamente, e l'eco emotiva che ne deriva diventa altisonante, ti svuota la mente. Stai bene e basta.

Ho una nuova amica, una grande nuova amica. E' francese, parla poco italiano, l'ho conosciuta per caso e al momento siamo inseparabili. L'ho soprannominata CaraCaró, si chiama Caroline. E' una compagna di giochi, di cazzate, di cori psuedo-francesi o pseudo-italiani per le strade di Bologna, di discorsi impegnati e di pensieri da enfants terribles.
Spiegare cosa sia un'amica non é facile, mantenerla ancora meno, ma quando la trovi la riconosci, e di questo ne sono sicura.

Le ho prestato un libro in italiano, un libro dalla scrittura piuttosto semplice, ma che ho apprezzato molto. "Il giorno in piú" di Fabio Volo. Stanotte ne stava leggendo qualche pagina, e quando non capiva mi chiedeva cosa significasse questo o quello.

Complici lo spritz e il cicchetto che sono stata liberamente costretta a bere dal barista "di fiducia", se cosí si puó chiamare un individuo che tenta (con scarso successo, in ogni caso) di alcolizzarti, non ne azzeccavo una. Pensandoci, probabilmente sarebbe stato lo stesso anche senza spritz e cicchetto, fatto sta che di sicuro non hanno aiutato.

"Apro la finestra. Non fa molto freddo, ma mi porto ugualmente un maglioncino." Questa la frase del libro incriminata.
CaraCaró mi ha chiesto: "Cosa significa 'mallioncino'??" (sí, mallioncino, l'ha detto cosí), e io le ho detto tranquillamente: "Poule" (pronunciando "pul").
A quel punto lei ha sgranato gli occhi e con aria incredula ha quasi urlato:"Pul?!?!?"

Ecco come risultava, grazie alla mia traduzione, la frase che stava leggendo:

"Apro la finestra. Non fa molto freddo, ma mi porto ugualmente un POLLO." Eh certo, chi non porta con sé un bel pollo per riscaldarsi. Magari allo spiedo, con due patatine di contorno.

Dopo un quarto d'ora di risate, si é capito come fossi riuscita a fare un tantinello di confusione, pronunciando "pul" invece che "piul" (ovvero "pull", pullover, mallioncino o maglioncino, che dir si voglia).

L'infelice quale sono ha continuato a prendere a cazzotti il francese poco dopo.
Caró ha commesso il grave errore di domandarmi il significato di "bagnato", per la frase: "La cosa peggiore con questo metodo é che se un giorno sudi quegli indumenti rilasciano un odore tremendo. Di cane bagnato."

Con non-chalance le ho risposto, pronta:"mué!" (mouet).
Stavolta peró non si é fatta fregare, mi ha guardato con aria canzonatoria (giustamente, oserei dire) e mi ha detto: "muet?? un chien qui ne parle pas??" (Muto?? Un cane che non parla?!?!)
Ora, se conoscete l'odore di cane MUTO, e se quest'odore somiglia all'odore di umido, fatemelo sapere per favore. Potrei recuperare un minimo della mia reputazione.

Insomma, la parola che avrei dovuto pronunciare é "muié" (mouillé=bagnato), non "mué" (muet=muto).

Una serata faticosa, un'esplosione di risa inarrestabile, e la soddisfazione di addormentarsi felici come due pupette.

Come ha detto qualcuno "Les beaux esprits se rencontrent."

lunedì 27 settembre 2010

La mia (anti)nonna.

Mia nonna é una persona straordinaria, e su questo non ci sono dubbi.
L'adoro per milioni di motivi diversi, uno di questi é il suo modo di essere l'Anti-Nonna per eccellenza, diversa dalle vecchiette tradizionali, dolci, accomodanti e amanti della cucina.
Mia nonna detesta cucinare, le sue polpette sono grandi come uova, perché cosí dice che ci mette meno a farle, e "invece di mangiarne sei ne mangi tre" (non fa una piega, e comunque sono buonissime), é sarcastica e tagliente come pochi, a volte decisamente acida (da qualcuno avró pur preso), estremamente simpatica, e dolce a modo suo.
So che ama me e mia sorella al di lá di ogni immaginazione, e conosco i sacrifici che ha sempre fatto e continua a fare per noi.

Ma come sa farmi innervosire lei, nessuno.

Ultimamente ce l'ha con me.
Il motivo? Il mio terzo tatuaggio, che tra l'altro non ha neanche visto. Mia madre, genio incontrastato del male, le ha gentilmente comunicato la lieta novella, e il risultato é stato un caloroso invito a non presentarmi alla sua porta qualora decidessi di passare da Taranto.
In realtá, le sue precise parole sono state:"Quando vieni te ne vai direttamente a casa tua, piccé ije no t vogghie vdé!". Grazie.
Ad ogni modo, non sono preoccupata. Mia nonna é una che si fa scivolare le cose addosso facilmente. Sí. Un paio di giorni fa (una settimana dopo aver fatto il tatuaggio) le ho telefonato. Brillante conversazione, durata ben 15 secondi.
Anche stasera l'ho chiamata.

"ciao nonna"
"m...ciao"
(splendido inizio)
"ehm...come stai?"
"bene tutto bene."
"ah, sei andata in chiesa oggi?"
"no."
(pensapensapensa cosa posso chiederle adesso?!)
"...ho capito."
"..."
"..."
"ehm...va bene..."
"ciao."

click.

Ottimo. 32 secondi, contando anche le pause alla Celentano. Si migliora.
Insomma, chi si accontenta gode.


Io nel frattempo cerco di dominare il folle impulso di scagliare il cordless contro il muro.

mercoledì 8 settembre 2010

Il Paese degli ombrelloni volanti.

Mia sorella lo chiama
il Paese degli ombrelloni volanti

Il mondo lo chiama Portogallo

io dico
ha ragione lei.

In quel luogo
la luce é luminosa

proprio cosí,

l'azzurro t'imprigiona
il vento ti sprigiona

tutto volteggia
lettini asciugamani ombrelloni

perfino
i tuoi pensieri

si lasciano portare

e tu
che fai
li lasci andare.

mercoledì 25 agosto 2010

Douro shit Valley

La mia famiglia é un fumetto. Gli amici dei miei anche.

Un paio di settimane fa siamo partiti, in nove, per il Nord del Portogallo, alla scoperta del fiume Douro.
La presenza di bambini é stata caldamente evitata, all'unanimitá e con sommo piacere di tutti, cosí le piú giovani eravamo io e mia sorella.
Siamo arrivati sul posto il venerdí pomeriggio. L'alloggio incantevole, un'antica villa portoghese restaurata e impreziosita dalla location, altrettanto splendida. Colline ricolme di vigneti, il fiume silenzioso nel mezzo. Questa la vista di cui ci siamo ubriacati per tre giorni.

Ma si sa, non si vive di sola poesia. Tutt'altro.

Per la giornata di sabato il programma prevedeva la bellissima e LUNGHISSIMA crociera sul fiume. Partenza in taxi dall'hotel per raggiungere l'imbarco: ore 7.45.

L'essere umano é, inutile raccontarsi balle, triviale. I bisogni primari monopolizzano il suo pensiero. Se cosí non fosse, non si chiamerebbero "primari".
Per la serie: per vincere il Nobel c'é sempre tempo, ma la cacca devi farla tutti i giorni.

Ecco.

A colazione le prime, falsamente innocue avvisaglie.
Tavola rotonda, discorso prevalente: il gabinetto. La sveglia antelucana aveva gettato tutti nella preoccupazione, dovuta a un senso di "non risolto", di "faccenda in sospeso".

"Ah io in genere dopo mangiato devo correre in bagno, ma oggi mi sa che non ne avró il tempo".
"Sí se non ci vado poi mi sento scombussolato tutto il giorno".
"Io mi sono svegliata alle sei, cosí sono riuscita ad andarci con calma".
"Vado fuori, provo a fumare una sigaretta, di solito dopo il caffé funziona".
E cosí via.

Inutile dire che alla fine NESSUNO abbia portato a termine l'arduo compito.

Durante la crociera, non so bene se per tenerci impegnati o per qualche altro oscuro motivo, non hanno fatto altro che servirci da mangiare.
Colazione (bis per noi, visto che avevamo giá fatto il pieno in hotel), aperitivo, pranzo, merenda merendina merendetta merendona. Burp.

Satolli come foie gras, alla fine del viaggio siamo scesi dalla barca ondeggiando, stremati da cibo, sole e vento. Se ci avessero frullato, il risultato sarebbe stato lo stesso.
Tornati in hotel, dopo la doccia e un po' di relax, a cosa ci siamo dedicati?

Chiaramente alla cena.

Crampi alla mandibola, per eccessiva attivitá di masticazione. Il peggio é arrivato dopo.
I dialoghi si sono concentrati sugli aggiornamenti dalle varie casas de banho.

"Niente io non ce l'ho fatta neanche stasera" (furia francese, ritirata spagnola, anche in Portogallo)
"Io sí ma non alla perfezione, mi sento gonfia" (meglio feriti e non morti)
"Io non ci ho neanche provato" (la voce della disfatta)
"Ragazzi, se volete io ho le mie pillolette, sono vegetali, vado a prenderle e domattina sarete a posto" (a mali estremi, estremi rimedi)

Io, mia madre e mia sorella abbiamo accettato la "soluzione finale".

La notte é trascorsa tranquilla.
Al mattino, dopo un velocissimo passaparola si é appreso che piú o meno tutti (anche chi non aveva preso le famose pillole) erano dovuti correre in bagno, piú e piú volte.

Sul terrazzo dell'hotel, tra una seduta e l'altra si teneva la contabilitá.

"Io sono andata giá due volte".
"Io tre, e ho ancora maldipancia".
"Io sto bene, ci sono andata solo stamattina, una volta" e due minuti dopo "Scusate ragazzi, non so cos'é successo, forse parlandone si é smosso qualcosa, devo assentarmi per una riunione importante".

Discorsi di una certa levatura.
Per non parlare della ricerca sfrenata dei motivi del cagotto generale.
Troppo sole troppo vento troppo freddo troppo cibo troppe bevande gelate troppa stanchezza.

Troppe chiacchiere.


Intanto io me la tiravo alla grande, quasi vantandomi di non aver avuto alcun problema nonostante i lassativi. Brava la scema.

Ovviamente dieci minuti prima della partenza, GRUMBLE-GRUMBLE, strani movimenti.

Fiduciosa nelle mie capacitá di tenere la situazione sotto controllo, siamo ripartiti per tornare a Lisbona, quasi tutti piú leggeri e un po' disidratati.
Mia sorella, taglia 38, di profilo praticamente sembrava un foglio di carta velina.
Vabbé.

Tappa a Lamego, cittadina a una quarantina di km da dove eravamo.
Grazieadio mia madre é un'appassionata di matrimoni (non suoi, degli altri), cosí ci siamo fermati sul posto piú del previsto perché lei assistesse all'uscita degli sposi dalla cattedrale (ha anche lanciato il riso, nonostante non c'entrasse NIENTE.
Prezzemolo in ogni minestra, vecchio detto sempreverde)e io ho avuto l'imperdibile possibilitá di visitare il bagno del bar vicino, superando finalmente la mia resistenza nei confronti dei gabinetti pubblici.

In tutta onestá, non so quanto sia da imputare alle pillole e quanto agli orribili vestiti portoghesi da festa.

L'importante, comunque, é che ci sia stato il lieto fine: "vissero felici e contenti" non solo gli sposi, anche noi (c'era chi temeva che decorassi la tappezzeria dell'auto. Malfidati.).

Un po' meno felici i proprietari del bar.

Il viaggio di ritorno ha potuto quindi svolgersi senza problemi, con grande sollievo di tutti.

POST SCRIPTUM:

In molti pensano che, superati i sedici anni, andare in viaggio con i propri genitori e i loro amici non sia il massimo.

Niente di piú sbagliato, per diversi motivi:

1)di solito si viaggia piú comodi (sia io che Marina abbiamo sfruttato la distanza CasCais-Piñhao-all'incirca quattro ore-per dormire sprofondate nei sedili posteriori delle auto. Come due neonati. Bavetta alla bocca compresa. Per non parlare della camera doppia con bagno e vista sul fiume.)

2)c'é sempre chi decide al tuo posto dove andare e cosa fare (trattandosi di persone con una certa esperienza, quasi sempre si va sul sicuro, e tu "ragazzina/o" puoi limitare al minimo i tuoi sforzi cognitivi e lasciarti coccolare come un bruco nel bozzolo.)

3)difficile che ci siano problemi di convivenza (gli adulti tendenzialmente badano ai fatti loro, tu ventenne rappresenti un simpatico surplus con cui scambiare quattro chiacchiere o di cui tutt'al piú ridere-soprattutto se te la stai facendo addosso nei momenti meno opportuni-e non devi dividere la stanza o l'appartamento con altri diciotto amici scalmanati in piena frenesia isterica da vacanza estiva.)

4)impari un sacco (per esempio, che le mogli prendono aria dai mariti riunendosi con altre mogli e sciorinando argomenti svariati, il piú delle volte esilaranti, sfoggiando grande sarcasmo e battute al vetriolo, provando un malcelato piacere nel dirigere i loro divertenti attacchi ai rispettivi mariti. Gli uomini, invece, bivaccano tra loro parlando soprattutto di quant'é duro e stressante il loro lavoro, ma cavolo quant'é figo, oppure di sport, viaggi, esperienze e loro da ragazzi ma quante ne facevano. In questo modo intessono certosinamente la trama sottile del loro smisurato ego di maschietti alfa. Da queste strategiche, intelligenti e naturali separazioni di genere derivano probabilmente la tranquillitá e la piacevolezza delle ore passate tutti insieme.)

5)se hai, come me, una sorella che di solito impiega due ore per prepararsi a uscire, ti accorgerai di come magicamente si trasformi e sia capace di essere pronta in venti minuti, quando non é contemplata la possibilitá che qualcuno dei suoi amici la veda con un capello fuori posto.

mercoledì 18 agosto 2010

Face-boom!!

Dopo il 20 del mese non si parla piú di agosto. Si parla di "fine dell'estate". Eccheccazzo.

Non capisco proprio questa moda dilagante, questa tendenza al catastrofico, che ti fa passare il resto (non la fine, IL RESTO) dell'estate con una malinconia untuosa addosso, che sa giá d'inverno e freddo anche se il sole continua a ustionarti e se ne fotte, giustamente.

Primo diffusore della psicosi, l'amato/odiato FACEBOOK, con i soliti, noiosissimi post.
Un paio di esempi.

"Mancano solo poche settimane e anche quest'estate 2010 finisce portando con sé mille ricordi".

OOOOOOHHHH ma non ti pare di precorrere un attimino i tempi?! Mancano SETTIMANE, e giá avvilisci chiunque abbia la sfiga d'incorrere nel tuo link?! Rilassati! E poi, onestamente, non mi pare giusto che uno dei MIEI mille ricordi estivi debba essere 'sta cazzata.

Un'altra perla telematica:

"Ultimi giorni di mare, e poi si ritorna alla solita routine."

...Link pubblicato da un operaio che lavora dodici ore al giorno 350 giorni l'anno e aspetta le ferie come i fedeli aspettano il verificarsi di un miracolo?

OVVIAMENTE NO.

Generalmente si tratta di ragazzi/e di etá inferiore ai 25, la cui "solita routine" consiste nel godersi la vita senza grandi responsabilitá e preoccupazioni.
Amico/a, SVEGLIA.
Se andare a scuola o all'universitá, al limite lavoricchiare, uscire e cazzeggiare ti deprime, in bocca al lupo per il resto dell'esistenza.

Cosa pubblicherai quando avrai un biberon in una mano, il blackberry di lavoro che trilla ogni trexdue nell'altra, il tuo primogenito che cerca di aprirsi il cranio in giardino, il cane che sbrana il gatto del vicino e soprattutto tua/o moglie/marito che ti dice che il prossimo week end, che avresti volentieri dedicato al tuo hobby preferito (che sia pesca, giardinaggio o arrampicata poco importa) sará invece SACRIFICATO (questo sará l'unico termine che ti verrá in mente) ai tuoi suoceri che hanno quella SPLENDIDA VILLETTA ISOLATA IN CAMPAGNA (a settecento km da dove abiti tu, da percorrere con una monovolume scassata e stracolma), dove i bambini (tuoi e dei fratelli di tua moglie/marito, quindi una quindicina di marmocchi schiamazzanti tra 0 e 12 anni) possono giocare liberamente?

E bada, ho scelto l'opzione "famiglia (relativamente) felice".

Allora, "amico" di Facebook che appesti le bacheche di cani&porci, compresa la mia, piuttosto che consumare gli ULTIMI, PREZIOSISSIMI giorni d'estate abbuffandoti di paranoie prive di fondamento, vai al mare, esci, vai a cavallo, in crociera, in campeggio quellochetipare ma liberaci da quest'angoscia collettiva.

Amen.

mercoledì 4 agosto 2010

Niente principi ma opere di bene.

Non voglio vederti arrivare sul cavallo bianco

ti preferirei
forse in groppa al bianconiglio
sulla strada
del paese delle meraviglie

Il nostro.

Senza fretta, peró.

martedì 3 agosto 2010

Viaggiare.

Sono nuvola
gonfia di pioggia

sorvolo terre di mezzo.

Bastimento vaporoso
dentro cieli sempre diversi
eppure
ugualmente miei.

Puoi chiamarmi Libertá
se vuoi
e Precipitazione;

ovunque io cada
sono a casa

ché l'acqua non ha governo

si lascia trasportare

trasportando.

Ogni luogo
é sua fonte
e terra di passaggio.

giovedì 15 luglio 2010

Fuochi d'artificio

Li hai chiamati amici
e hai sbagliato

erano fuochi d'artificio.


Ingannevoli docce di colore
effimeri
hanno pochi istanti per donarsi

prima di sparire
tornare al buio

e
guardarti raccogliere
fumo e micce spente.

Magari avessi voluto riconoscerli
non é poi cosí difficile
sai

-distanti e soli
bastano a se stessi

brillanti di luce propria.


Amano farsi guardare
e guardarsi

ti dicono
diventa specchio
amplificatore del nostro rumore

finiamo in un'esplosione

e se niente resta
va bene cosí

non facciamo domande
non vogliamo risposte

se vorrai accontentarti
ti daremo un finto giorno

l'illusione é il nostro gioco

siamo quel che siamo-

Punto.

Ti lasciano il sapore amaro
di festa finita
e
giostre notturne.

A capo.


(This is the end, beautiful friend)
Gli amici non sono fuochi d'artificio.

venerdì 2 luglio 2010

Creativity is focused caos

Le conferenze estive non sono esattamente ció che definirei "una manna dal cielo", specialmente quando si é liberamente costretti a parteciparvi, per tre giorni di fila.

Tuttavia, a volte possono diventare realmente divertenti, quando le circostanze si rivelano favorevoli.


Ore 9.00: inizio conferenza "Creativity and Innovation Management". hip-hip, hurrá.

Un caldo infernale.

Il professionista di turno, energico grazie a chissá quale integratore vitaminico, illustra i risultati delle sue fondamentali (forse d'inverno, di certo non d'estate) ricerche.
In fondo alla sala, quattro universitarie, due spagnole e due italiane, in compagnia dei loro quattro encefalogrammi piatti.

Ore 9.30: la porta magicamente si schiude, e nella stanza entra l'unica ragione per cui le quattro suddette ragazze rimarranno sveglie, il giovane svedese in carriera.

Bello, alto, atletico, postura eretta, sguardo fiero...e abominevole gusto nel vestire. Una combinazione di colori quantomeno improbabile, un'accozzaglia di orrori
tutto sommato migliore rispetto a quella sfoggiata con orgoglio il giorno prima, quando una camicia viola a righe é stata accostata a un paio di pantaloni grigi (sempre rigorosamente a righe) e scarpe marroni.

L'Arlecchino scandinavo si accomoda allora nell'unico posto disponibile, vicino a Serena.
Risatine maliziose & adolescenziali di rimando.
E non solo.


Ore 9.40: I bloc notes gentilmente donati dall'organizzazione si riempiono di battute piú o meno allusive, in quattro lingue diverse, a seconda dell'ispirazione del momento.


Nota n.1 (Miranda): -He needs an Italian stylist. I'm Italian and I could be his personal stylist- Avrebbe bisogno di uno stilista italiano. Io sono italiana e potrei essere la sua stilista personale.

Nota n.2 (Serena): -Io non lo guardo perché mi emoziono-

Nota n.3 (Miranda): -Esfervescencia Hormonal- (effervescenza ormonale)

Nota n.4 (Sara per Miranda & Serena): -Tristeza Corporal- (frustrazione fisica, dovuta all'astinenza da attivitá sessuali).

Che dolce, a ricordarcelo.

Nota n.5 (Laura per Miranda): -has soñado con él desnudo?- (l'hai sognato nudo?)

Nota n.6 (Miranda per Laura):-Non, malheuresement.-(no, sfortunatamente)

Nota n.7 (Laura): -Mais il a beaucoup de PELOS- (peró ha molti peli)

Nota n.8 (Miranda per Laura): -Yo tambien, no hay problema- (anche io, nessun problema)


A questo punto l'oggetto dei desideri sfodera una super macchina fotografica e inizia a fotografare in giro, dopodiché l'appoggia su una gamba.
Grave errore.


Nota n.9 (Miranda per Serena): -Sere, il suo "OBIETTIVO" ti punta!-

Nota n.10 (Serena per Miranda): -Mi farei puntare da qualche altro suo obiettivo, va lá!-

Nota n.11 (Miranda per Serena): -PERRA INFERNAL- (meretrice)

Nota n.12 (Sara): -Es un friky: saca fotos y habla solo.- (é un tipo strano: scatta foto e parla da solo)

Nota n.13 (Miranda): -I like him- (Mi piace)

Nota n.14 (Laura): -Today is my birthday, he could be my present!- (Oggi é il mio compleanno, potrebbe essere il mio regalo!)

Nota n.15 (Miranda per Laura): -Sorry, I'm the first in line- (Mi dispiace, sono io la prima della fila)


Nel frattempo Serena, per la prima volta in tre giorni sembra presa dall'interessantissima conferenza e prende appunti.


Corollario:

Nota n.16 (Miranda): -Serena sta prendendo appunti solo perché lui le é seduto accanto e deve fingere di essere un'impegnatissima studentessa avviata alla professione.-

Nota n.17 (Sara, riferendosi a Serena): -Her strategy to capture his attention is working...que perra!- (La sua strategia per attirare l'attenzione sta funzionando, che (beeep)!!"



Si dice spesso che i ragazzi siano meno romantici delle ragazze, piú istintivi, triviali e che usino scherzare tra loro in maniera volgare e fortemente esplicita per quel che riguarda il sesso.
Sí insomma, in parole povere tette, culi e fighe pare siano i termini piú gettonati, assieme a mimica e gesti allusivi di ogni sorta.

Ebbene, le ragazze non sono da meno, e questa probabilmente non é una novitá.

La grande differenza tra noi e loro, peró, é che noi siamo incredibilmente piú fantasiose, amiamo le metafore e le analogie, e viaggiamo per associazioni.

La classe non é acqua, é donna.

mercoledì 30 giugno 2010

Taranto Mia.

Sono nata in una cittá bellissima,abbracciata da un golfo e dalla Storia.
Mia nonna mi racconta che quando era giovane, a Taranto c'era la spiaggia, e lei faceva il bagno nell'acqua pulita.

In quella cittá vi ho trascorso diciannove anni, prima di allontanarmene, prima che parlarne e scriverne diventasse difficile e doloroso.


Bagnata da due mari, il castello Aragonese volge lo sguardo a entrambi, ne spartisce le acque, al limitare dell'isola che ospita il Borgo Antico.
La sera ti fa star male, con la sua bellezza semplice.


____Poi i tuoi occhi spaziano, e lo vedi_____il mostro.



Immaginate una splendida ragazza. Occhi blu, come Mar Piccolo e Mar Grande, e dentro profonditá e mistero, come i vicoli della Cittá Vecchia.
Il naso é dritto e liscio, come il suo lungomare.
La bocca carnosa e rossa, d'invitante promessa, di parole calde e vibranti. Come la sua gente, pittoresca e accattivante, viva.

Adesso immaginate una ferita da taglio, aperta e sanguinante che corre da un capo all'altro del suo viso, e l'imbruttisce, lo snatura.
Le riempie gli occhi di angoscia, ogni volta che si guarda allo specchio e ció che era si scontra con quello che é diventata.
Immaginate che a seguito di questa violenza abbia perso la gioia di vivere, che siano arrivate le nuvole nere del disincanto e della rassegnazione.
(E come darle torto)

Questa é la mia cittá.
Una bellissima ragazza sfregiata.

L'impianto siderurgico piú grande d'Europa la divora, la tortura, inquinando le sue acque e bloccandole il respiro.
I proprietari del mostro ignorano, fingono di non sapere, sanno che migliaia di persone non possono rinunciare al proprio lavoro anche se gli impianti non sono a norma e gli operai respirano la morte.
Le pecore hanno mangiato erba alla diossina, le persone formaggi alla diossina.
CATENA ALIMENTARE, la chiamano.

Molti anni fa i miei genitori cercavano un appartamento in affitto, io non ero ancora nata; ne stavano visitando uno molto bello, molto grande e a prezzo stracciato, in un quartiere periferico della cittá.
Si chiedevano come fosse possibile che costasse cosí poco.
Mia madre si sporse alla finestra, e fu tutto chiaro.
Lo spettacolo desolante del palazzo di fronte completamente annerito dalle polveri dell'impianto, portate dal vento. Lenzuola bianche stese ad asciugare e divenute grigie.

Questa é la mia cittá.

E' vero che sono fuggita
E' vero che non tornerei a viverci.
E' vero che ne parlo con rabbia
E' vero che mi sento impotente
E' vero che non capisco chi, lí, ci é rimasto.

Ma

è vero anche
che

l'amo infinitamente
e amo i ricordi che risveglia in me quando ritorno, solo per un po', alla mia vecchia vita.
Amo quando mi fa pensare a mio padre, perché ho potuto conoscerlo solo in quei luoghi, e per poco tempo.
Amo sapere che sono tarantina
Amo non vergognarmene
Amo conoscere il mio dialetto
Amo il mio mare
Amo il ponte girevole
Amo anche le cozze
Sí.

Amo Taranto, per quello che é
ma soprattutto
per quello che é stata
e
per quello che potrebbe essere
in un futuro
non scontato.



Il mostro NO
LO ODIO.

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Oggi i RIVA, proprietari dell'impianto, sono indagati per disastro ambientale.
Che giustizia sia fatta, una volta per tutte.
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domenica 27 giugno 2010

Sere d'estate, frutta e stronzate.


Un caldo tremendo, metropoli ardente.
La pelle incollata alla sedia, e le nove di sera che sembrano non arrivare mai.
Due amiche un po' annoiate, sudaticce. Cena fredda, pasta a volontá.

E frutta, as usual.

I miei migliori amici sanno che ne consumo quantitá industriali, di ogni tipo.
E' la mia dipendenza, una delle tante.
Come andare in giro per casa con lo spazzolino in bocca, non posso farne a meno.
Come la scrittura.
Come le persone.

Osservare la gente, coglierne i gesti, le posture, gli sguardi mi affascina terribilmente.
Soprattutto mi piace scoprire quelli che appartengono solo a un individuo e non a un altro, quei pezzetti d'identitá che nessuno puó strappare.

Serena,per esempio, spesso riporta indietro una ciocca di capelli col mignolo, mentre parla. Lo fa solo in particolari momenti del discorso, il movimento della mano é in totale armonia con l'espressione del viso, con gli occhi e le parole.
Le sottolinea, le accarezza col dito.

Mia madre, invece, ha un modo di guardare, di guardarti quando qualcosa non va o hai detto una cazzata, che é assolutamente suo.
Il mento un po' in su, la testa leggermente inclinata da un lato, un guizzo delle sopracciglia, e quello sguardo, che se recitassi un'enciclopedia non potrei eguagliare.
Potenza del non verbale.

M'incanto ogni volta, é inevitabile.

Stasera Serena ha messo in ordine la ciocca mentre parlavamo di frutta.
Cioé, della Teoria della Frutta.

Alle elementari c'era sempre l'esercizio: collega con una freccia l'immagine al nome corrispondente.
Noi abbiamo iniziato ad abbinare noi stesse, poi le persone che costellano la nostra vita, ai frutti.

Serena é una pesca.
E' dolce, ma non troppo, stucchevole mai. Ha la pelle morbida, é di buon carattere ma é anche decisa. Estiva, anche se guardandola non lo diresti. Una pesca di solito non ti tradisce, non é nel suo stile.

Io sono un'arancia.
Dopo un attento confronto con la mela, l'agrume ha prevalso.
Una scorza un po' ingombrante, a volte fastidiosa, e dentro, a seconda di come viene scelta, puó rivelarsi molto aspra, anche insopportabile, oppure piacevole, dolce e dissetante.

Poi é stato il turno degli ex.
Niente nomi, stavolta...

"E (bip) cos'é?"

"Mmm allora...potrebbe essere un ananas, ma no, in realtá a me l'ananas non piace...Ecco forse una mora, perché é molto invitante, se trovi quella buona é davvero buona, ma puó anche deludere."

"E cresce tra i rovi."

"Esatto! Lui é un po' cosí, come gli gira, dipende dai giorni. E (bip), invece?"

"Eeeeeh, troppo complicato, fammici pensare...troppo, troppo complicato. Non perché lui sia complicato, perché dev'essere un frutto che ti frega...che non é come appare. Ecco! Una ciliegia. Le ciliege sono belle da vedere, sembra che promettano chissá che, in realtá peró non sono un granché. Nonostante questo, quando cominci a mangiarle non riesci a smettere, e va a finire che devi correre in bagno!"

"Sí, allora decisamente una ciliegia. Tra l'altro le ciliege stanno sempre tutte insieme..."

"Infatti, la ciliegia vive in branco. Appunto."

"E (bip), cosa dici?"

"Uhm. Non so...un'altra ciliegia mi sa."

"Insomma a te piacciono le ciliege!! Argh."

"Sí, cavolo. La ciliegia é proprio subdola, ora che ci penso."


Dopo é stata la volta di amici, amiche, parenti e simili.

"Secondo te (bip) cosa puó essere?...Per me una fragola, perché é molto graziosa, sa di pulito..."

"Sí, sono d'accordo. Se (bip) é una fragola, allora (bip) é una banana!! E' chiara, maliziosa, accattivante e ha carattere pur essendo dolce."

"ahahahhahaha!! Sí, ci sta! Una difficile: (bip)!"

"Eeeeeh...forse l'uva sultanina, perché non piace a tutti, ma chi l'apprezza l'apprezza tantissimo."

"Io, per esempio, l'adoro!"

"Ancora ancora...tua sorella cos'é?

"Mia sorella é una fragola, senza dubbio. Bellissima, una forma perfetta, mai in disordine, un gusto che piace, che oscilla tra lo zuccherino e l'acidognolo. Un frutto affascinante."

"Mio fratello é un ananas, credo. A parte che gli piace moltissimo...é un frutto tropicale, che si adatta bene. E' una persona calda, che piace a molti ma é particolare."

"uao...vediamo un po'...(bip)?"

"Allora, lei secondo me é un mandarino...intanto perché é piccolina, e poi é un frutto meno forte dell'arancia, ma gli somiglia, sa farsi valere quando vuole, mantenendosi piú dolcino. (bip)?"

"...forse un kiwi, perché é un frutto buono, ma che si nasconde..."

"Sí, é un frutto sottovalutato. Secondo me anche i kiwi si sottovalutano. Hanno del gran potenziale, ma é come se temessero di tirarlo fuori. Continuiamo! (bip)?".

"Lei é un'albicocca. Ti dá tutto di sé, un sapore carico, intenso."

"Ah si? Bello...Con le altre mie amiche non é semplice, hanno tutte un bel temperamento, quindi non saprei, forse delle arance...Ma abbiamo dimenticato la frutta secca eh!"

"E' vero. quella si addice ai prof., penso. (bip), ad esempio, per me é una noce."

"aahahahh!!! Sí, potrebbe essere. Grande guscio, sapore forte, coinvolgente. Un frutto importante, non é da tutti."

"Sí. Aaah, adesso che mi viene in mente, quel ragazzo, (bip), lui secondo me é un fico."

"Un fico? Sei sicura? I fichi, uno tira l'altro...é un frutto buonissimo, ti prende un sacco, non riesci a smettere...non so se conosco dei fichi. Mi sa di no."

"Eh si i fichi sono cosí, appunto...non so, mi dá quest'impressione. Ma magari non é cosí. Mi piacerebbe scoprirlo."

"In che senso, eeeeeeh?!?!"

"Cretinaaaa!!!! Ahahahahah!!!"


Morale: SE TI PIACE LA FRUTTA, MANGIATELA TUTTA.

Conclusione: SIAMO ALLA FRUTTA.

venerdì 25 giugno 2010

Gaivota.


Siamo tutte e due sole, stasera.

Sedute, o sdraiate, la stanza é simile,
la tua un po' piú grande della mia.
Finestre spalancate per il caldo, e luce spenta per evitare le zanzare.

Io e te,
momentaneamente francesi, cittá diverse
il sangue é lo stesso

tu meta e metá di me
io metá e meta di te

sorelle da una vita.

Oggi mi hai regalato una canzone portoghese
l'hai tradotta per me

una frase non l'ho capita
mi hai detto

"é poesia, mi piace quello che mi fa immaginare"

ho visto
le mie braccia
lunghe kilometri e kilometri di Francia

abbracciarti
al confine con la Spagna

presque.






http://www.youtube.com/watch?v=BgQeJ6BqRLI

martedì 22 giugno 2010

Covering loss with words

Da quando sono nella ville lumière, a volte mi capita di pensare che detesto non essere tra i miei libri, quelli di casa.
Perché nei miei libri mi cerco, e spesso mi trovo.
Ogni stato d'animo ha la sua corrispondenza all'interno di qualche pagina che ho giá letto ed esplorato, riguardato e poi, forse volontariamente, dimenticato.
Un archivio poco ordinato, nel quale nessun altro potrebbe addentrarsi senza perdere di vista il motivo della sua visita.
Il fatto stesso di cercare é per me un'operazione quasi catartica, mi spinge a concentrarmi non piú su me stessa, ma su quello che qualcun altro ha scritto per me, perché io ritrovassi il senso di ció che provo nelle parole partorite da un'altra mente, tanto diversa e tanto simile alla mia, in fondo.

Ieri ero alla Shakespeare Library, a Saint Michel.
Libri accatastati l'uno sull'altro, e odore buono di sfogliare antico, di ricerche senza tempo.
Gironzolavo piuttosto annoiata tra i testi in inglese, combattuta tra l'inevitabile attrazione per la carta stampata e la consapevolezza di una non adeguata padronanza della lingua, quando il mio campo visivo ha catturato il nuovo libro di Eve Ensler, "I am an emotional creature". Un'istantanea rivelazione. Quel titolo mi ha ricordato quello che realmente sono, che sono abituata a sentire e sentirmi.
Forse mi sento ancora, ma non mi ascolto piú molto.
Le parole scritte sono il mantello col quale mi copro, parlo di me per mettermi a tacere.

A volte,peró, soprattutto al risveglio, sono nuda, completamente esposta a emozioni recondite e immediate.
Sono un neonato dopo il bagnetto, sul fasciatoio un attimo prima che l'asciugamani e il calore umano addormentino il freddo.
Ognuno trema per motivi diversi e ugualmente importanti.

Piú interessante é scoprire cosa, o chi, riesce a restituirti il tepore.



La festa della musica parigina.

(quattro amici
ritmi diversi
a ogni angolo danze sfrenate
trenini in piazza
il riso facile
e
sorrisi di sconosciuti
gesti d'innamorati

che non sono io
ma non importa

la felicitá é bellezza da ammirare
anche quando non é tua.)



Una poesia che ho ispirato.

(scrive
pensando a quello che sono io
al dove
al come
al quando
e mi coglie
in quello che ho dentro
pur conoscendomi da lontano
mi forgia
a immagine e somiglianza
di come sono veramente.)



Il biglietto del ritorno da Parigi.

(Non ho dimenticato
il posto da dove arrivo
né il posto dove andró.

Bologna
Cascais
i vostri visi amici
l'estate portoghese
la mamma
e
mia sorella
non uno
ma due soli nel mio sistema

nella testa
l'oceano.

C'é sempre tempo per tornare
ma che sia tra non molto
lo preferisco.

...Forse lo pensa
anche quel gabbiano
parigino.)



Un elettrone.

(Conversazioni e contagi
folie à deux
marlene kuntz e altre storie
dentro giri vorticosi
attorno a nuclei lontani
di desideri e ricordi
dolori vecchi e nuovi
scoperte
comprensione
e
tenerezza distante.)



Un errore di "lettura".

(sprofondata nel libro
testa china
la metro che corre
e
la tua fermata
corre anche lei.

Te ne accorgi tardi
ti ritrovi a sorridere
come un'idiota
felice del giro in cittá

ti senti libera
sottoterra

ce n'é di gente strana
a questo mondo.)

mercoledì 16 giugno 2010


A Taranto, nella piazza di fronte alla palazzina dove abita mia nonna, da anni sono in corso i lavori per la realizzazione della nuova chiesa. Il vecchio edificio, di modeste dimensioni e dall'architettura semplice, grazie alle generose donazioni dei fedeli e alla solerzia pubblicitaria dei sacerdoti, ha lentamente ceduto il posto a una costruzione monumentale e immacolata, pronta ad accogliere stuoli di credenti.
In questa nuova location si é svolto l'episodio che racconto attraverso le parole di mia nonna, che me ne ha parlato candidamente stasera al telefono.

NONNA: Nella nuova chiesa hanno messo una statua grande, alta, tutta bianca, e io oggi la stavo guardando perché non riuscivo a capire cosa fosse.
Poi é arrivato don Giuseppe, che mi ha detto, vedendomi che la osservavo:"Bellissima, eh?", e allora io ho risposto: "Mah don Giusé, veramente a me piacciono le cose tradizionali...che cosa rappresenta, la Madonna?".
Lui mi ha risposto: "No Mirá, é l'angelo del Signore, che col dito in su dice alle pie donne, arrivate al sepolcro, che Gesú é risorto".
A' nonn, io gli ho detto: "Ah si?? E allora don Giusé, stasera, dopo la messa, riunisci un po' di persone e spiegalo, che non si capisce".
E difatti cosí é stato.

Ho cercato di conservare il linguaggio colloquiale che io personalmente adoro e trovo molto divertente, e probabilmente per chi conosce mia nonna e potrá immaginare la scena, il quadretto apparirá piuttosto simpatico.

In ogni caso, credo che da questo scambio di battute sia facile intuire la contraddizione di una Chiesa che cerca di guadagnarsi il cielo predicando la semplicitá ricoprendosi d'inutili fronzoli, per venire poi bruscamente riportata sulla terra dall'umiltá disarmante di un'umanitá che merita il paradiso pur preferendo il legno al marmo.

Il passero solitario (Leopardi non me ne voglia)


Un prato davanti a me.
Verdissimo, fiorito, placido. L'ideale point de vue, oggi ho bisogno di pensare con gli occhi. Dietro questi due specchi, infatti, una mente confusa, imbottita d'insofferenza e inquietudine, sulla quale calare un sipario d'erba come questo, accogliente mantello che nasconda quello che non voglio far vedere di me, a me stessa prima che agli altri.
Qualche giorno fa ho chiesto a due amici quale superpotere sceglierebbero, se avessero la possibilitá di riceverne uno, e la mia domanda é risuonata stupida, insignificante.
In effetti lo era anche per me, in fondo. Eppure, questo pomeriggio ha acquisito un senso.
Stavo osservando un passero che zompettava tranquillo proprio sul prato che avevo eletto ad aspira-pensieri, e mi sono accorta, inaspettatamente, che lo invidiavo. Avrei voluto essere lui, senza memorie, senza elucubrazioni, senza me.
Subito dopo ho pensato che in realtá non avrei mai scambiato la mia vita per la sua, se non per qualche ora, giusto il tempo di mandar via malinconie e riflessioni.
E allora, la fantasticheria puerile della possibilitá di metamorfosare in qualunque altro essere vivente diverso dall'uomo, e poi ritornare in un attimo quella che sono, ha assunto un'importanza esistenziale.
C'é una canzone, tra quelle che mi spingono a cercarmi e ritrovarmi quando mi perdo, che dice "si parte per vedersi ritornare". A me piacerebbe viaggiare cosí, a volte, mutare quando lo desidero, abbandonarmi e di nuovo adottarmi in un rinnovato amore per ció che ho il privilegio di essere.
Credo che imparerei ad apprezzare e comprendere meglio, forse, le mie piú intime incoerenze e le altrui diversitá.
Gli occhi non sono fatti per pensare, comunque, é per questo che alla fine sono tornati al servizio del cervello, vero tiranno e gestore della baracca, mostrandomi gli ultimi giorni, causa del mio malessere e del mio tentativo di estraniamento.
Giorni di distanze create da malintesi e fraintendimenti, di brevi rancori ed esplosioni di rabbia circoscritta.
L'instabilitá dei rapporti tra le persone continua a sconcertarmi. Splendide complicitá trasformate improvvisamente in distacchi, incomprensioni divenute sfide a chi scappa via dall'altro piú velocemente; soprattutto mi atterrisce la facilitá con cui vengono alzati altissimi muri, e la difficoltá successiva di abbatterli.
Se si trattasse di muri reali, sarebbe vero il contrario, ma i muri impalpabili delle relazioni sono paradossalmente piú forti, elastici, resistono.
Nel mio caso, quando avverto la presenza di queste pareti invisibili e glaciali, sento mie le parole di De André, quando cantava "Tu prova ad avere un mondo nel cuore, e non riesci a esprimerlo con le parole".
Vorrei urlare "ma che diavolo facciamo, perché adesso ci ignoriamo, che stupidi che siamo", e correre e abbracciare e sfondare quel divisorio assurdo d'indifferenza.

...Questo é ció che vorrei.

Intanto, peró, invidio i passeri e tendo le distanze.

martedì 8 giugno 2010

Eppure non ci sono gabbiani a Parigi.


Chissá perché, amo scrivere di notte; puó darsi che i pensieri si lascino finalmente acchiappare, resi piú docili dal sonno.
Periodo di movimenti, turbolenze emotive e momenti catartici.
Pochi giorni fa, un gabbiano passeggiava indisturbato sul prato del jardin du Luxembourg.
Eppure non ci sono gabbiani a Parigi.
"E' uno a cui piace viaggiare", mi ha suggerito mia mamma con un sms, mentre l'osservavo incuriosita e nelle orecchie mi passava il pianoforte di Ludovico Einaudi. Certo, non ci avevo pensato, che stupida.
Il pennuto ha le ali, non ha bisogno di biglietti aerei e progetti.
Lui, di essere nel posto giusto al momento giusto, se ne frega. E soprattutto, poco importa, dice, che a Parigi non ci sia il mare.
Una pozzanghera puó diventare il piú grande degli oceani, se sai come guardarla.
E' questione di saper scegliere le proprie felicitá, ed essere consapevoli di poterle conservare.
Quel gabbiano sa di poter volare in qualunque momento, ed é tutto ció che gli serve.
Io, per esempio, volo ogni volta che mia nonna mi videochiama, da quando ha imparato a farlo attraverso il computer.
Vedere il suo volto a mille kilometri di distanza, sentirla radiosa per questo nuovo, inatteso regalo, con tutto l'entusiasmo dei suoi settantasette anni e le sue attenzioni al mio, di volto, agli orecchini che porto e che mi chiede di farle vedere, il panorama dalla mia finestra che cerco di mostrarle rischiando di far cadere il pc dal settimo piano, il piacere zuccherino di ascoltarla mentre dice: " Che bella piazza, ah ma c'é traffico, che bei palazzi...", e infine osservarla mentre mi saluta perché mia sorella é in linea e vuole parlare anche con lei.
A queste e altre meraviglie ho pensato, seduta a gambe incrociate di fronte a Notre Dame, in un sabato sera alternativo di solitudine scelta e, per questa ragione, appagante.
Qualche turista intorno, forse, si sará chiesto quale malinconia potesse aver spinto una ragazza a rimanere sola in una notte tersa e mite di giugno parigino.
Cosa potevano mai saperne, loro, di quanto in alto stessi volando?




(Perché se la libertá non é in me, non la troveró in nessun posto.) Fernando Pessoa

lunedì 31 maggio 2010

Démons et merveilles


Lasciarmi invadere
non posso

se anche

ci sia
intenso
il desiderio di essere
prima che me stessa

l'obiettivo del suo assedio.


(La paura
di un'invasione
di cose buone


di sorrisi & risate
di odori di pelli diverse mescolati in un'inedita spezia
di parole non dette/lasciate a metá/appena accennate/solo pensate
di occhi che ti guardano e li guardi e sono accesi
fatti scavare dentro-ti dicono-ed é quello che fanno
di mani che corrono da un capo all'altro del tuo corpo
tengono al caldo anche la tua mente


effimere felicitá


e
piú forte
di loro
ma soprattutto
di te


la paura della loro assenza).


Un gioco allo sfascio
per non andare in pezzi.

E' cosí
che si combatte in trincea
una strenua resistenza

un solo
abituale
vincitore

Il calendario.

domenica 9 maggio 2010

Eternitá



La silenziosa dignitá
di un uomo
anziano e solo

cosciente
della sua finitudine

nella presunzione d'eternitá
di un giardino in fiore

elogio arrogante
alla giovinezza.



Ma sotto le rughe
il vecchio sorride ancora

dondola sulla sedia
ritorna bambino

il sole fuori
e dentro
la sua luce.


Questa é la vita
che alla morte non si concede.

martedì 6 aprile 2010

Guitare.


Cinque dita sulle corde di una chitarra

fanno l'amore
si muovono frenetiche
poi lente, accarezzano
per tornare ad agitarsi ancora.

Gemiti a ogni tocco
note sfrenate e sensuali

Un amplesso lungo

l'osservi con occhi di voyeur
perversi e imploranti insieme.

Il piacere perfetto
immaginare d'essere quella chitarra

amata
come non sei tu

com'eri

forse una volta
tra le sue dita.

Tutto intorno è immobile

anche il tempo, stavolta l'hai fregato.

lunedì 5 aprile 2010

Parigi.


Meno di un mese dall’arrivo.
Stasera prova a buttare giù qualche riga, seduta alla scrivania del suo piccolo studio al settimo piano.
Di tanto in tanto guarda fuori, si perde un po’ nello splendido panorama dei palazzi parigini, sguardi sospirosi alla Tour Montparnasse e alla Tour Eiffel, come ogni notte charmante nel suo luccicante vestito da sera.
Dal suo nido ad altezza cielo pensa che assorbirà attraverso la pelle ogni momento di quei cinque mesi, di quell’esperienza, di quella vista, per fondersi con essa, marcarsela addosso a fuoco, possederla appieno. In poche settimane ha imparato che una città può diventare intimamente tua, in un attimo e per sempre, e perché lo sia è sufficiente divorarla con gli occhi, poi con la mente, quando passeggi per le sue strade immaginando di raccontare a qualcuno d’importante quello che stai scoprendo, quando un ristorante o una fermata di metropolitana diventano punti di riferimento che incolli nella memoria come una delle figurine che ti mancavano quando eri bambino, quando sembra di non averne mai abbastanza anche se quella città fa esondare odori, colori, luci, suoni, passioni, amarezze, entusiasmi dalle sponde della tua giovane vita.
Le passa per la testa il titolo dell’album di fotografie che sta componendo, l’ha chiamato “Les Combustibles” come il libro di una delle sue scrittrici preferite, ma il motivo vero non è questo, è che ha capito che i giorni trascorsi a Parigi sono carburante per il suo umore, lo tengono acceso e lo fanno sfrigolare.
E si consumano in fretta.
Si chiede come si possa anche solo pensare di non allontanarsi mai dal luogo in cui si è nati, per quanto lo si possa amare proprio non riesce a immaginare che non si abbia la necessità di riempirsi d’altro, di nuovo, di sconosciuto.
E’ come un neonato che decidesse di rimanere all’infinito nel ventre materno, di accontentarsi di un legame viscerale, fisico, sempre disponibile, piuttosto che dare a se stesso la possibilità di provare nostalgia per il sorriso della mamma, ritrovarlo in ogni vittoria grande o piccola, scoprire che non ci si abitua mai alla distanza dei volti amati, ma che girarsi a guardarli quando finalmente li si ritrova, quello è l’amore.
E poi…
La magia delle persone di cui non sai ancora niente o quasi, la voglia di metterle a nudo-metterti a nudo, e a volte non solo in senso metaforico.
Questa è Parigi, pensa.




(Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello
che vorrei dirti di più bello
non te l'ho ancora detto.
Nazim Hikmet)

sabato 30 gennaio 2010

quel che ti ho dato.


Sono troppo pigra per scrivere, stasera.
Pigra anche di pensieri,
che mi costringo senza sforzo a far tacere, perchè non mi disturbino.
E' così, che ho creato questa nuova me,
altera, un po' distante da se stessa e da quel che è stata,
padrona di quello che non si può controllare,
l'emozione.
E navigo, dondolando...
tra tranquillità fluttuanti
e brevi reminiscenze umide
che mi si incollano addosso con fastidio
a ricordarmi il dolore che ti ho versato addosso.

Proprio a te, e al brillìo dei tuoi occhi...
Dannazione.



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