domenica 9 dicembre 2012

Lo sai che i papaveri son alti alti alti e tu sei piccolina.

Ho comprato della carta da lettere
incredibile a dirsi
ne producono ancora

-al di là delle incontestabili logiche
del profitto -

Ho guardato il lungo papavero rosso
stampato sul bianco
a segnare i confini
tra una macchia d'inchiostro
e una poesia.

Ho provato a scrivere qualcosa di buono
ed è così che ho buttato via
il primo foglio.

Ho iniziato a disegnare
quello che sarebbe stato un mio ritratto

-se solo avessi avuto la pazienza
di non perderla -

La mano ha bisogno di tempo per scaldarsi,
una volta era diverso.

E c'è chi crede ancora che sia un'artista
forse perché non so fare niente.

Quasi niente,
qualcuno ha detto che faccio bene l'amore
qualcuno d'importante lo dice anche adesso,

ma ci sarebbe comunque da discuterne
il campione potrebbe non essere significativo.

venerdì 7 dicembre 2012

Basta un poco di zucchero.

Mi sentivo inquieta stasera. Senza un reale motivo.
In tv ho trovato Mary Poppins ed è bastata mezz'ora perché mi sentissi di nuovo tranquilla, accarezzata dalla malinconia dolce che solo i capolavori dell'infanzia possono regalare, quando guardi con occhi ormai adulti un mondo che ti emoziona di più adesso rispetto a quando eri bambina.
Semplicemente, per i piccoli la magia è reale quanto la realtà.
Una volta cresciuta ti stupisci che a ventisei anni un film come questo - tra la bellezza irripetibile di Julie Andrews, le canzoni che pensavi di aver dimenticato, le gite nei disegni a gessetto - ti faccia stare così bene in un casalingo venerdì sera di dicembre, mentre i termosifoni tengono caldo l'ambiente e fuori nevischia.
A Supercalifragilistichespiralidoso hai di nuovo otto anni, o forse non sei mai cresciuta del tutto.
E a questo punto non posso che sentirmi felice.

mercoledì 28 novembre 2012

Elogio della Lagna.

Mi sveglio sempre troppo presto. E ci credo, tra il letto di una scomodità disarmante, che quando riacquisti la propriocezione sembra che ti abbiano picchiato selvaggiamente, il gatto che durante la notte adora passeggiarti in testa, sullo stomaco, sdraiarsi in mezzo alle gambe, stampare il suo naso freddo e umido sul tuo, e un ragazzo che quando inizia a prepararsi per andare al lavoro fa più o meno lo stesso casino di un'officina meccanica in piena attività, le possibilità di continuare a dormire ammetteremo che non siano poi moltissime.
A meno che tu non sia morto, e fortunatamente non è ancora il mio caso.

La sostanza è che alle sette sono in piedi già da venti minuti e dopo un'ora sono alle prese con un'alterazione del pensiero immunitario: praticamente il mio cervello cerca di autodistruggersi avviluppandosi in un gomitolo di stronzate appositamente create per rovinarmi la giornata.

La medicina, in questi casi, è quasi sempre indisponibile.

Vorresti fare una passeggiata rigenerante e piove; vorresti un cappuccino caldo e ti arriva da ustione di terzo grado (che normalmente ti procuri alla lingua); vorresti fare due chiacchiere con un amico e sono tutti al lavoro/a dormire o scopare/lontani/disperati almeno quanto te quindi forse è meglio evitare; vorresti ricevere una chiamata che ti dia speranza sul tuo futuro lavorativo e ricevi invece il consiglio di partecipare ai concorsi per vincere un posto al Comune e scaldare la sedia per i prossimi centotrent'anni.
Grazie, agli istinti suicidi non sono ancora arrivata, ma ci penso su eh?
E siamo solo alle otto e mezzo.

Mandare cv, leggere, scrivere, informarsi, passeggiare, guardare un film, cazzeggiare su Facebook, spazzolare il gatto, pulire, cucinare, fare la spesa, andare in bagno e farsi un bidet sono tutte attività estremamente edificanti, ma di solito alle quattro di pomeriggio hanno inevitabilmente rotto il cazzo e tutte in egual misura.
Eh sì, lo so che c'è chi pagherebbe per farsi un paio di settimane così (appunto, al quindicesimo giorno posso assicurare che possono bastare).
So anche che c'è chi questo tipo di vita la fa da anni e non è contento né si lagna, e so benissimo che c'è anche chi sta molto peggio eccetera eccetera.

Per una volta, però, posso dire liberamente ed egoisticamente che io di fare la gara a chi sta peggio non ne ho mezza voglia, come dicono qua?
Ebbbbasta, non posso sentirmi in colpa ogni volta che mi capita di sentirmi triste, annoiata o quando mi succede di pensare di aver preso una fregatura colossale.

Voglio, anzi pretendo almeno una volta al mese il legittimo impedimento a interessarmi agli altri quando girano le palle a me.

Il che è molto diverso dall'essere indifferente ai destini altrui o più in generale al destino del mondo, semplicemente ogni tanto sarebbe meraviglioso che la gente ti dicesse solo che capisce il tuo stato d'animo piuttosto che ricordarti che come te ci sono altri milioni di persone - e nel gruppo naturalmente vengono inclusi anche gli inflazionatissimi quanto ignoratissimi (se non a parole) bambini africani, i disabili, i senzatetto e i malati - che stanno peggio, molto peggio.

"C'è chi il lavoro l'ha perso dopo vent'anni e adesso non ha una casa, e ti lamenti perché non hai un lavoro?"

Quindi secondo queste logiche brillanti non dovrei deprimermi a maggior ragione ma dovrei andarmene in giro felice e contenta perché l'intero pianeta è una merda. Paradossale, no?

A 'sto punto non lo so, tutto questo comprare indulgenze con un'ipocrisia spicciola, da talk show delle buone intenzioni anche quando è evidente che quando va bene la più grossa preoccupazione si ferma al perimetro del proprio orticello...boh, a me un po' ha seccato.
Propongo di indire il giorno della "lagna libera", del tipo che te ne vai per strada e ti lamenti inconsolabile col primo che t'ispira e che non sa e non saprà mai per quale motivo sei in quello stato, e quello deve limitarsi a pacche sulle spalle, religioso silenzio e dovrà anche darti un fazzoletto per impedirti di smoccolargli sulla manica.

Così, un atto di catarsi non inficiato da giudizi di valore, da un concetto di dolore più o meno giustificato.

Lavori troppo? Lagnati.
Lavori troppo poco? Lagnati.
Ti vedi brutto? Lagnati.
Ti hanno derubato? Lagnati.
Il tuo grande amore è partito? Lagnati.
Ti manca molto qualcuno? Lagnati.
Non sai fare altro che lagnarti? Lagnati.
Sei troppo fortunato per essere felice? Lagnati.

E così via all'infinito, una volta al mese. Il resto del tempo facciamoci tutti un favore: godiamocela 'sta vita.









venerdì 23 novembre 2012

Un giorno come gli altri.

Imposte chiuse
luce che filtra in piccoli raggi invadenti.

Sbatto palpebre soporose dal letto vicino
e pigramente osservo il pulviscolo ballare
poi arrivarmi addosso
senza mai toccarmi veramente,
illusorio amante di un giorno come gli altri.

Ed è subito in me
La metafora delle cose che s'improvvisano leggere
mentre inequivocabilmente penetrano,
nessun segno visibile

a parte l'improvvisa stridente epifania
di un'alba finita troppo presto
dentro un sole semplicemente
osceno.

mercoledì 14 novembre 2012

Un giorno questo dolore ti sarà utile.

Una felpa comoda
un paio di scarpe senza tacchi

-così si riportano i piedi per terra-
(e non solo i talloni).

Per quanto tentiate di schiacciarle
due piccole ali continuano a spingere e bucarmi la pelle

(e il sogno diventa infezione
da cui non voglio curarmi).

Preferisco sanguinare a vita
che permettervi di medicarmi

con la vostra
presunta forzata
realtà.














martedì 30 ottobre 2012

La poesia.

Mi piace la poesia perché è ermetica, in due parole ci metti un mondo e ognuno capisce il cazzo che gli pare, com'è giusto che sia.
Tanto diciamolo, la vita va così, e la poesia è molto più vera di un discorso. I discorsi vengono fraintesi quando non dovrebbero esserlo e anche quando tutto sembrerebbe spiegato per filo e per segno, il che dopo un'ora di parole e voce persa a raccontare, ti fa pensare "perché non scelgo mai il silenzio?".

Con la poesia è tutto decisamente aleatorio, quindi ogni interpretazione va bene e ogni interpretazione va accettata senza tante paranoie.

Forse gli uomini dovrebbero parlare alle donne in forma di poesia, del tipo

"il tuo silenzio non mi sfugge
la tua parola mi cattura
ma apprezzo il primo come un dono
mi lascia ad ammirare il tuo sguardo."

Ecco, una cagata del genere è un modo gentile per dire "quando non parli sto da dio" o "sono stufo di ascoltarti, piuttosto andrei a farmi recidere un testicolo", ma il messaggio che lei percepirà sarà "che dolce, mi ama quando gli parlo e mi ama quando non gli parlo, è DI SICURO l'uomo della mia vita".

Oppure

"Dolce amore
mani d'oro ho visto in te
in altre mai,
io bracciante povero
piacere non so dare
allora insegnami ad amare
come solo tu sai fare"


E lui intende "troppe rogne con 'ste coccole...e un po' più giù e un po' più su, datti da fare tu che facciamo prima". Lei capirà "sono l'unica delle persone con cui è stato che riesce a dargli tanto, sono DI SICURO la donna della sua vita".

Alle donne piace capire l'essenziale: il proprio punto di vista sul mondo. E allora semplifichiamoci tutti l'esistenza, una buona volta.
Prendiamo esempio da Franco Battiato, i tre quarti delle sue canzoni sono totalmente oscure e per questa ragione affascinanti. L'ipocrisia di affermare che l'importante siano la chiarezza e la trasparenza...ma per carità! Io dico che la chiave non è la chiarezza, ma la creatività.

Dì pure quello che vuoi, ma bada bene a farlo facendo in modo che nessuno se ne accorga.

E campa cent'anni, senza rotture di coglioni.





domenica 28 ottobre 2012

A horse with my name.

Tempo di merda.
Un ragazzo svenuto sul letto
respiro lento e regolare
e la pioggia e il freddo e il silenzio.

Va bene, va bene così.

Pace a buon mercato in un pomeriggio senza innesco
dentro una domenica qualunque,
banale preludio di lunedì incerto.

Eppure ha tutto il senso
del movimento

senza briglie
senza fantino
senza morso.

Proprio nessuno sa
nel preciso istante in cui si avvicina

se il cavallo salterà la staccionata
e riprenderà a galoppare.

mercoledì 24 ottobre 2012

Mercoledì di luna grossa.

Quando i pensieri vanno a mille

una testa sempre troppo lucida

e quello che cerchi da una vita
è perdere un po' il controllo
e smettere di scrivere bene
senza errori

ma qui c'è anche uno stramaledetto iphone a correggerti
il più delle volte scrivendo cazzate
che tu riesci comunque a mettere a posto.

Salire le scale sembra un'ardua impresa
ma lo fai e nel frattempo scrivi
come se le parole appartenessero a un altro

ti dai del tu
senza spiegazioni di sorta
come a un amico che conosci bene
e sai che non ti giudicherà

anche se sei onestamente a pezzi
e la cosa peggiore
è che non ti dispiace

cerchi un modo per uscire da te
ma non c'è verso
è quello che sei
nitida
come una notte di luna grossa.


(E mentre barcollo un po'
so benissimo come vanno piegati i pantaloni
per non stropicciarli,

e il mio dramma è tutto qui).



lunedì 22 ottobre 2012

The silent wave.

E' questione di temperamento
questa passione cocente per le parole

l'onda incalzante della discussione
non mi è dispiaciuta mai.

E c'è poco da ragionare
la violenza non c'entra
ho conosciuto onde aggressive
altre mi hanno sfiorato appena

carezze di schiuma
e
schiaffi di sale.

Nell'uno e nell'altro caso
è stato impossibile che non m'insegnassero qualcosa;

così ti spiego
l'unico motivo per cui continuerò a dirti quello che penso
anche quando a me non sarà concessa una corazza di scoglio:

succede così alla gente come me
so stare zitta solo di fronte al mare.

martedì 9 ottobre 2012

SetteOttobre2012

E un secondo dopo, sono sopra la città dove vive uno dei grandi amori della mia vita, mia sorella.

Sono sopra la sua casa la sua testa e sopra i suoi bellissimi occhi castani. Sono diretta chez moi, alla mia di casa e mentre l'aereo continua il decollo io mi chiedo come sia possibile che riesca a volare con un carico così pesante di malinconia.
Mi ritrovo gli occhi luccicosi e un po' me ne vergogno un po' ne sorrido, rassegnandomi al fatto che alcune cose non cambieranno mai, quella sensazione agrodolce di lasciare ogni volta a terra un pezzo grosso di me spunterà fuori a ogni saluto.

E tutto quello che c'è da sapere è che per quanto io e lei possiamo avere vite e città diverse, nazioni addirittura, restiamo complementari e mi basterà un attimo perché l'appartamento che non ho mai visto diventi casa e unicamente per il motivo che lì dentro ci mangia e ci dorme lei, poco importa che sia dietro l'angolo o dall'altra parte del mondo.

Ho smesso di pensare a cosa ci accomuna e cosa ci differenzia, siamo simili e diverse per un milione di ragioni o forse per nessuna, è mia sorella ed è la persona che immagino al mio fianco una trentina di volte al giorno. E dire che per anni le nostre separazioni sono durate il tempo di una mattinata; il resto delle giornate lo passavamo a litigarci giocattoli e capricci, ma in fondo è sempre stato bello anche litigare per chiedersi scusa a vicenda mezz'ora dopo, con lo sguardo basso per poi rialzarlo subito e rivedersi con occhi diversi, più sorelle di prima, ammesso che sia possibile.

Con questa consapevolezza ci salutiamo ogni volta, prendiamo un aereo e proseguiamo i nostri giorni così, semplicemente in posti diversi, lontani mai.
Mi congedo allora, dopo un piantino discreto contro il finestrino dell'aereo, dalla mia Marina, dal suo caffè buono, dalle riflessioni sulla crescita dell'edera sul muro del terrazzo, dalla ruga di espressione delle sue sopracciglia involontariamente un po' corrucciate e dal suo ciao con la mano sulla porta, e mi congedo anche dalla bella Garonne e dall'intera Bologna francese.

À bientôt Toulouse.

martedì 11 settembre 2012

Requiem for a dream

"Pensavo è bello che dove finiscono le mie dita
debba in qualche modo incominciare una chitarra".
(F. De Andrè)


Ditegli che in fondo non ho dimenticato
che dove finiscono le mie dita
debba in qualche modo incominciare una poesia.




Ho avuto tempo per me
e a dire il vero
molto più di quanto ne desiderassi

l'ho guardato con l'indifferenza dell'abbondanza
dall'oblò di una routine autoconservativa

e badando bene a lamentarmi
di averne già abbastanza.


Prevedibilmente tutto è cambiato
nel mio Panta Rei customizzato
ho saputo che un'epoca nuova comincia in fretta
ed è chiaro che non si prenda la briga
di onorare la defunta che la precedeva.

Tutto questo per dire
che dall'alto del mio metro e ottanta di perenne insoddisfazione
un po' mi piace
autoinfliggermi un minimo sindacale di esistenzialismo,

sempre.











mercoledì 25 luglio 2012

Donne, dududu.

Se entri in un bar e ti accorgi che la gente ti guarda come se nel locale fosse entrato un UFO, le possibilità sono essenzialmente tre:

-sei di una bellezza disarmante;
-sei di una bruttezza ugualmente sconcertante;
-indossi dei tacchi eccessivi considerando la tua statura di partenza.

Chiaramente nel mio caso si tratta della terza opzione.
Eppure al negozio non mi erano sembrati così alti. Mah.

Fatto sta che quando racconto l'imbarazzo di questi momenti (sopportabile per carità, non sto dicendo che crei un disagio sociale di chissà quale portata), normalmente l'interlocutore risponde che dovrei essere contenta.

"Vuoi mettere? Ti guardano, vuol dire che colpisci!"

Ok, sarà. Sarà anche che penso che se nel bar ci entrasse un brontosauro in diretta dalla Preistoria, probabilmente l'effetto sarebbe simile e non sarebbe certo indicatore di un apprezzamento a livello estetico.
Lo so, adesso si esagera, ci mancherebbe solo che avessi problemi di autostima tali da pensare di somigliare a un dinosauro.
Il discorso comunque è che ripeto l'altro giorno, quando li ho comprati, quei trampoli non sembravano tanto trampoli. E invece ieri mattina, subito dopo averli indossati mi sono sentita pronta ad accompagnare un carro allegorico.

E fin qui tutto sommato niente di drammatico, se ci ostiniamo a trascurare il modo in cui cammino: chi osserva potrebbe credere che io stia tastando un terreno disseminato di mine anti-uomo. E-le-gan-te, sì.
Quando poi la non-abitudine a portare tacchi così alti inizia a provocarmi dolori lancinanti ai piedi, l'effetto immediato è il rimando all'immagine di un soldato che, ferito a morte, arranca sui suoi ultimi passi. Aggiungiamoci che il più delle volte alle scarpe alte sono abbinati indumenti tutt'altro che comodi e l'effetto tortura cinese è assicurato.

Situazioni che spiegano ampiamente, è proprio il caso di dirlo, il CONFLITTO interiore che attanaglia una donna (?) divisa tra il desiderio di esprimere una femminilità un po' impolverata e la voglia di distruggere una per una e con grandissima soddisfazione le cause di quella sofferenza autoinflitta.

domenica 22 luglio 2012

UniVersITA'.

L'università non mi ha insegnato niente
tanta teoria
ben poca onestà intellettuale
e bocche piene
di quello che dovresti diventare

-ed era talmente evidente
che essere in gamba
rappresentasse un problema
esclusivamente mio-.

In ogni caso da loro nulla
che somigliasse almeno un po'
alla vita reale.

Quella
me l'hanno raccontata a casa
l'eterno ricominciare di mia nonna
mai un lamento
a nascondere i dolori sotto il tappeto,
la polvere mai
che la pulizia è la prima cosa.

E le litigate furiose con mia sorella,
fare i conti oggi coi baci che non le ho dato ieri
e che adesso le spedisco in Francia.

Il Tempo
quello che mio padre non riavrà mai indietro
ed io con lui,
poi quello discreto come il battito di un cuore vicino
scandito dai gesti perfetti di mia madre
intenta a riparare i motori
di una famiglia
quand'era un po' ingolfata.

Ho imparato a stare al mondo
anche al bar
la domenica mattina,
prendendo lezioni a spezzoni
da gente di passaggio
-esperienza in pillole
mandata giù insieme a un caffè-.

Sono diventata donna
dentro un letto caldo
di respiri molto diversi
dal meccanico espandersi dei miei polmoni.

Ho curiosato così
per vedere cosa c'è intorno
e tuttora lo faccio.

Della vita ne so comunque poco
ma il mio orizzonte lo costruisco perpendicolare a quello del sole
a rendere tutto piuttosto relativo

a parte il fatto che

anche la gatta ha saputo dirmi di più
di uno qualunque dei miei professori.









lunedì 16 luglio 2012

Le mille e una notte.

Un taccuino
la mia lampada di Aladino.

Luogo d'espressione
tra le altre cose
di desideri

quelli che sulla realtà non si fanno strofinare.




(Ed è magia vera
un genio che non serve
per cambiare il mondo intorno
quando in mano hai una penna).




venerdì 13 luglio 2012

Atletica leggera (mica tanto)

Penso di non aver mai toccato qualcosa di diverso
da un'opportunità

quale che fosse

(più o meno infinito)

e poi ho sempre ricominciato
dal punto di partenza

impossibile trovarne
due volte
uno uguale.

Corro così
nell'unico stile che conosco

la mia staffetta perpetua
di occasioni che non perdo

e quello che più mi stupisce

è che il senso di tutto
la forza motrice

non sia mai stato un traguardo.


mercoledì 27 giugno 2012

"I can't do anything"

Non mi hai detto cosa ne pensi
di come passo il mio tempo adesso,

certo è un po' diverso dalle corse
dalle birre
dalle donne
di quel tale
Bukowski;

pubblicava poesie e racconti
non so se hai presente

ci buttava dentro la sua vita
mentre diceva al mondo
compiaciuto e agonizzante

"io non posso fare un bel niente"

(a parte rimanere nella Storia).

Perché

se scrivi non fai
se fai non scrivi.


In tutto questo il tempo passa

e lo riconosci solo dopo
quand'è andato

come l'amico che non hai salutato.

lunedì 25 giugno 2012

Fenomeni fisici.


Vasi comunicanti noi,

travasiamo l'amore
dal mio sorriso al tuo.

(E i tuoi baci si arrampicano in me
più capillari dell'acqua).














sabato 19 maggio 2012

19.05.2012

Ti sarai vestita di fretta
come ogni mattina.

Ti sarai guardata allo specchio
senza il dolore dell'ultima volta.

-E' così la giovinezza-
forte dei sorrisi che devi ancora scartare.

Qualcun altro si sarà alzato
forse prima di te.

Senza un'ombra del pudore del tuo viso fresco
avrà visto la sua immagine riflessa.


.....................................................................................................................


E De Andrè lo cantava
"crepare di maggio/ci vuole tanto troppo coraggio"
e lo diceva per un soldato.

Ma tu
te ne andavi senza divisa
incontro alla Guerra

a mani armate di adolescenza.


giovedì 19 aprile 2012

Chiamatemi Zelda, ma meno schizofrenica.

Improvvisamente succede di DOVER ricominciare a scrivere.


L'impellenza è la stessa di quando sei in viaggio e non ti accorgi di niente fino a quando non ti sembra di essere sul punto di fartela addosso. La pipì, tanto per essere precisi. Non puoi più aspettare, e così magari ti capita di farla sul ciglio della strada con le automobili che ti sfrecciano accanto a una velocità che pare debba rompere il muro del suono e a momenti ti fanno un peeling alle parti che hai esposto a scopo urinatorio (che finesse).
Che poi io non sarei mai in grado di farla per strada e anzi faccio fatica anche se il gabinetto è diverso da quello di casa mia, tanto che devo concentrarmi profondamente come se dovessi produrre un origami invece che una semplice pipì, è un altro discorso.


Tornando alla scrittura (ogni tanto devo riacciuffare l'obiettivo che mi perdo per strada), è come se una specie di ingranaggio si sbloccasse e i pensieri riprendessero a scorrere velocissimi. Questo avviene soprattutto quando sono impegnata in attività incompatibili con il fatto di dover tenere una penna e un foglio tra le mani, immaginatevi un pc. Il classico dei classici è mentre lavo i denti. Spazzolo e rimugino, rimugino e spazzolo, e chi mi conosce sa bene che lo faccio con una media di quattro volte al giorno. Vita piena la mia, lo so.
L'idea geniale arriva di solito quando il primo taccuino utile si trova a un milione di chilometri dalla mia portata, e della penna non ne parliamo. Nel frattempo nella testa le riflessioni sfrenate corrono ed è un po' il gioco del telefono senza fili, quelle arrivano ti dicono qualcosa di fondamentale e di cui naturalmente non capisci un accidente, e poi niente. Vuoto mentale che provi lo stesso a buttare giù, ma quello che viene fuori non è mai soddisfacente. D'altra parte, se la parola iniziale del gioco è "clacson" e tu alla fine capisci "cazzo" non è che sia proprio la stessa cosa.


E pensare che invece vorrei scrivere come Fitzgerald...si vede che sto perdendo contatto con la realtà, quindi continuo consapevolmente a crogiolarmi in un pinzimonio di relazioni appena accennate e discorsi poco impegnati e forse per questa ragione estremamente gratificanti, dal momento che lasciano tutto il beneficio dell'idealizzazione e soprattutto quella superficialità che tanto ricorda le festicciole mondane e terribilmente affascinanti descritte dal mio amato Scott.

Va bene chiamatemi Zelda, ma meno schizofrenica (insomma).

mercoledì 14 marzo 2012

Quando non ci sarà più niente da sognare.

Lascia pure che ti crolli addosso
questo mondo di parole
di fatti consumati
per un motivo o per un altro,

perchè sei stanco
non riesci ad alzarti

neanche quando sei in piedi.

Ti consiglio
un paio di ali posticce
da credere vere

perchè l'unica realtà indispensabile

è quella che non hai ancora sognato
a cui forse darai del tu.

E quando non ci sarà più niente da sognare
sarò lì per strapparti le stesse ali

così,
su due piedi

quelli su cui riprenderai a camminare.

lunedì 12 marzo 2012

Abbiamo i superpoteri!

Chi conosce la webserie di successo Freaks capirà bene cos'è il contagio emotivo pensando al personaggio di Andrea, lo sfattone discotecaro.
Per chi se l'è persa forse è il caso di rimediare perchè non è male e si trova su You Tube aggggratis, ma a parte questo quello che intendo è che il contagio emotivo è davvero un superpotere.

Quant'è bello che se tra me e te c'è feeling, se rido io quasi sicuramente riderai anche tu?

Io lo trovo stupefacente, anche se tengo a precisare che le droghe non c'entrano niente e non vorrei che si perdesse un po' il filo tra stupefacenza e lo sfattone di cui sopra.
Naturalmente sto divagando; il punto è che quando questa cosa del diventare cretini insieme succede tra due persone è già divertente, ma quando si è in cinque diventa un delirio di gruppo e tutto si amplifica ancora di più. Se poi analizziamo uno per uno i soggetti coinvolti, il risultato diventa prevedibile.

Soggetto 1: Femmina, 24 anni.
Descrizione: Si tratta di un esemplare di bell'aspetto, dagli occhi grandi e le tette pure.
Punti di forza: Diplomazia, senso dell'umorismo, generosità.
Aree di miglioramento: Livelli di ansia riguardo a passato-presente-futuro-varieedeventuali da abbassare notevolmente per garantire la sopravvivenza di tutti.

Soggetto 2 : Maschio, 25 anni.
Descrizione: Atletico e biondo, lo sguardo penetrante di Jigen l'amico di Lupin. Gli manca la sigaretta perennemente in bocca.
Punti di forza: Premurosità, disponibilità.
Aree di miglioramento: Definirlo bipolare sarebbe un eufemismo.

Soggetto 3 : Femmina, 24 anni.
Descrizione: Minuta e carinissima, puoi comodamente riporla nella tua borsetta.
Punti di forza: In centimetri metaforici, ha la lingua più lunga del suo metro e cinquanta di altezza.
Aree di miglioramento: Gli ormoni e il bimbaminchismo.

Soggetto 4: Maschio, 31 anni.
Descrizione: Occhi un po' da cinesino e un gran bel latoB.
Punti di forza: Spontaneità, dolcezza, ironia e finiamola qua perchè evidentemente non sono obiettiva.
Aree di miglioramento: Il lavoro che è sempre troppo e una --lieve-- tendenza a inciampare su qualsiasi cosa.

Soggetto 5 : Femmina, 25 anni.
Descrizione: Altitudine e piedi piatti.
Punti di forza: Buona capacità di giocare con le parole, senso dell'umorismo.
Aree di miglioramento: Scusate ma non posso passare il resto della vita a parlare dei miei difetti. Tanto li conoscete.

Ecco, questa era la base di partenza per il delirio generalizzato del week end appena trascorso.
Una casa che sembrava (sembra, in verità, visto che oggi è giorno di lavori forzati) un campo profughi tra letti improvvisati, spargimenti di coperte e piatti da lavare, un terrazzino assolato ispiratore di discorsi impegnati quanto il figlio di Bossi nello studio, e i cinque soggetti protagonisti.

Il momento topico: la colazione.
Viene da chiedersi perchè proprio la colazione. Eh, perchè quando ci si alza si è un po' tutti in stato confusionale, la testa può essere leggera di pensieri evanescenti come vapore acqueo oppure pesante di preoccupazioni come sassi, quindi in entrambi i casi non è che gli stimoli esterni siano particolarmente graditi.

Figuriamoci quando gli stimoli esterni sono esagerati.

Uno inizia immediatamente a parlare che dici elllamiseriaoh, datti una calmata; l'altra sospira e sembra voglia provare ad annegarsi nella tazza piena; un altro prepara il caffè e trova anche il modo di far crollare buona parte delle pentole a terra col conseguente piacevolissimo rumore tipico; un'altra prova a star dietro a tutti ma alla fine ci rinuncia e gioca con la gatta; l'ultima saluta il sole con un bel fanculo rivolto a nessuno in particolare.

E dove starebbe questo contagio emotivo? Qua ognuno si fa i cazzi propri.
E invece no, perchè ogni volta basta il minimo pretesto per scatenare la risata.

Uno dei soggetti, chiaramente di sesso maschile, inizia a bere e masticare rumorosamente davanti alle facce sdegnate delle ragazze. Viene prontamente aggredito (non fisicamente ma quasi) e come i bambini inizia a ridere rischiando di sbrodolarsi come quelle bambole odiose con cui giocano sempre i bambini. Le donne a questo punto vorrebbero mantenere la giusta dose di serietà ma è impossibile e nel giro di dieci secondi tutti ridono e rischiano di morire per soffocamento.

Che poi in una scena così, che c'è di così divertente?
Niente, appunto.

Oppure.
Il sogg.1 ha sempre avuto le mani da madonnina dei quadri (se potessi allegare una diapositiva lo farei, ma facciamo che usate un po' d'immaginazione) e questa caratteristica non si sa bene perchè ma a volte fa ridere fino al vomito.
L'altra mattina, per esempio. E' bastato che uno del gruppo desse l'input indicando a tutti le dita della poveretta, e da lì si è passati facilmente a imitarle (in effetti ogni tanto sembra che le manchino le falangi) arrivando a fare quel movimento di strofinamento delle zampette che fanno le mosche.

Che c'entrano le mosche con le mani delle madonne dei quadri?
Niente, appunto.

E' che quando la complicità raggiunge un picco omogeneo per tutti, si forma un nodo di quel momento preciso.
Un nodo fatto come si deve è difficile da sciogliere, e quello che non farebbe ridere nessuno fa ridere tutti, e soprattutto li farà ridere anche dopo anni solo a ripensarci e - credo - in quasi ogni circostanza.

Se non sono superpoteri questi.

giovedì 8 marzo 2012

I feel like a woman.

Donna

prendi l'infinito
e aggiungi un cromosoma X.

L'universo sembra enorme

ma l'incognita
fa la differenza.

martedì 28 febbraio 2012

Ecologia del dispiacere.

I periodi di merda capitano, non può filare sempre tutto liscio. Ogni tanto la fiancata alla macchina la fai. La macchina sei tu, in questo caso; tu o un tuo amico tua sorella tuo fratello la mamma il fidanzato il trombamico o chi sia sia di cui t'interessi tanto da sentire un po' di male anche se la fiancata la fa lui e teoricamente non condividete la carrozzeria.
A questo proposito, diciamolo, questa compartecipazione al dolore, la tanto esaltata empatia è un po' una fregatura per le ragioni di cui sopra, perché se le persone a cui tieni non sono in forma per niente (giusto per usare un eufemismo) ci pensi e ci ripensi e alla fine ti senti una mezza schifezza anche tu. E poi 'sta storia dell'empatia ti fotte soprattutto perché alle volte ti fa sentire davvero impotente, perché la verità è che non sei d'aiuto.

Prevedibili commenti: ma che dici, basta la presenza!

Basta la presenza è una cazzata, più o meno come l'espressione "basta il pensiero".
Allora adesso ditemi un attimo, quando aprite quel regalo orrendo che vi fa capire che la persona alla quale volete così bene non ha capito un cazzo di voi perché altrimenti non si sarebbe mai sognata neppure di pensare che avreste potuto apprezzare quella teiera del '800 che le spacchereste volentieri in testa, vi viene in mente che basti il pensiero? No, pensate a dove nascondere l'orrore, o in alternativa a come distruggerlo facendo pensare a un incidente.

Ed è così anche quando subite tracolli emotivo-sentimental-sociali. Non parliamo di stupidaggini (che poi tutto è relativo e ognuno ha la propria bilancia emozionale), parliamo di cose importanti, che lasciano il segno.
Certo, chiunque dovrà riconoscere che non sia da poco avere gli amici intorno e i pat-pat sulla spalla e il fazzoletto di carta che arriva proprio nel momento in cui si sta piangendo talmente tanto da rischiare d'inondare la stanza di moccolo, ed è importante anche che ci sia qualcuno a fare la voce grossa quando si ha voglia di abbandonarsi come un fuscello al vento del proprio destino di solitudine e morte...però la sostanza è che non basta.

La verità vera è che le persone non si possono riverniciare.
A parte che anche sulla verniciatura ci sarebbe da ridire, perché se la carrozzeria è ammaccata nascondi un po' il danno ma quello resta, non è che sparisca perché sei arrivato tu bel bello a darci un po' di colore sopra.

Tutto questo per dire che forse sarebbe più giusto se tutti avessero un tastino da qualche parte, un pulsante che amici parenti e volenterosi potessero usare all'occorrenza per accollarsi una piccola quantità di dispiacere che qualcuno d'importante sta provando, così, per alleggerirlo un tantino...una specie di donazione all'inverso in cui quello che si toglie all'altro può fargli solo bene e non disturba me che scelgo di prenderlo. E allora ci sarebbe una piccola parte di dolore per me, un'altra per lui, un'altra per lei, un'altra per chi s'offre -curiosa assonanza vero? Ma s(')offrirebbe solo un pochino, in fondo- e così fino a disperdere macrodolori in microdolori.

C'è chi se la meriterebbe proprio un'empatia di questa portata.

mercoledì 22 febbraio 2012

Omaggio apolitico a un partigiano incontrato per caso.

Una panchina nel sole
ritaglio di Sardegna
sono isola dentro l'isola,
perché al sole
la solitudine non guasta.

Posso guardare la vita proseguire
lasciarmi indietro un momento
ho il diritto di rimanere seduta
senza chiedermi
anche questa volta
cosa devo dimostrare adesso?

Arrivi poco dopo
vecchia nave stanca e solida e carica
tocchi le mie sponde
coi tuoi novant'anni di Storia
in cambio di un sorriso dai miei venticinque.

Tu che hai lottato sulle montagne
in ciabatte
m'hai detto
i piedi a rompere un ghiaccio
tutt'altro che metaforico.
La tua minaccia
aveva un nome e un cognome importanti
Guerra Mondiale.

E mentre parli
mi domando perché
il tuo sforzo
sembra così indifferente al mondo
oggi.
Mi chiedo
per quale libertà hai combattuto
se ancora combatti
e se sia poi tanto diversa
da quella che immagino io.

Mi piacerebbe sapere
tutte queste cose

sono sul punto di dirtelo

poi

mi racconti dei tuoi nipotini
e ti vedo trasformarti in uno di loro;

mi dico in silenzio
per oggi le risposte mi bastano.

venerdì 10 febbraio 2012

Allerta Neve.

C'è l'allerta neve. Anzi no, mò non la chiamano più allerta neve, ma allerta "blizzard", nome esotico per dare un tocco cool alla BUFERA DI NEVE. Vento ghiaccio neve freddo polare. Un bordello. La Protezione Civile dopo le recenti accuse invita a rimanere a casa dalle 12 di oggi fino ad almeno le 17 di domani. E tu siccome sei un po' imbecille (oltre che una cagasotto) resti a casa per evitare di essere sferzata da gelide folate arricchite da corpi contundenti che potrebbero avere voglia di fracassarsi sulla tua faccia distruggendola definitivamente. Che poi vabbé, sarai anche esagerata ma tu e il freddo siete come il cavolo e la merenda, insieme non ci state a dire niente. Sei nata e cresciuta al Sud, in quel magico regno dove la temperatura non scende mai oltre gli otto gradi centigradi, e lì ci sono tanti altri problemi e su questo siamo d'accordo, però vuoi mettere? Resti a casa, dicevamo, e ti arroghi anche il diritto di fare la distaccata rispetto all'ondata di panico che ha coinvolto mass media e compagnia, e continui a ripeterti "sssciono proprio eccessscivi, tutto questo allarmissscmo per un po' d'inverno aaaatipico". Godi anche, nel pronunciare a te stessa la parola atipico, pensando che ti descrive proprio bene, e già a quel punto avresti dovuto capire che sei fuori strada come un suv impantanato. La verità vera è che non usciresti a fare un giro neanche se ti dicessero che al posto della statua del Nettuno, in centro c'è l'albero della cuccagna che sta aspettando solo te. Sì, resterai nel tuo piccolo bunker sopraelevato a leggere-scrivere-far di conto (no, questo mai)-conversare telematicamente con i tuoi amici-guardare fuori dalla finestra-rimuginare su eventi insignificanti. Tutte attività altamente edificanti. Alle 12 non succede un cazzo, comunque. Eh, non è che le nuvole c'avevano l'appuntamento, no? Arriverà, la tempesta arriverà. Alle 19.08 la situazione è identica a sette ore prima. Nel frattempo hai trascorso il tuo tempo concentrandoti, tra le altre cose, sui vari siti online dei giornali, che su Bologna scrivono prima "GLI ESPERTI DICONO: BUFERA IN RITARDO DI DUE ORE", poi "...DI TRE ORE", e alla fine optano per un più vago "BUFERA IN RITARDO". Ah, quindi possiamo aspettarcela anche per il 21 aprile? Almeno che si scusi, quando arriva. Pure alle bufere manca l'educazione, non ci posso credere. E in tutto questo non è che ti venga in mente di uscire, intanto, così magari prendi un po' d'aria e ossigeni 'sto cervello rimbambito...no, rimani a rotolarti sul divano col gatto, che lo fa mille volte meglio di te perché oziare senza scopo è la sua missione nella vita. Il risultato è che il tuo livello di nevrosi, già abbastanza alto prima dell'emergenza maltempo, adesso è ineguagliabile. Inizi a dedicarti ad attività che ti rammentano che ti stai pericolosamente avviando a essere l'anello di congiunzione all'indietro tra l'uomo e la scimmia: mangi una banana, ti gratti la testa, rimani lunghissimi minuti davanti al pc senza fare né pensare alcunché, e fermiamoci qui che è meglio. A un certo punto pensi che è ora di smetterla, quindi ti alzi, fai un giro attorno al tavolo, per un attimo pensi di poter uscire o invitare qualcuno, e infine ritorni esattamente nella posizione di partenza perché ti ricordi che l'ultimo match di rotolamento l'ha vinto il gatto e hai bisogno di una rivincita.

martedì 31 gennaio 2012

Quello che VOGLIO.

Insegui i tuoi sogni.
Te lo ripetono in continuazione, è il cavallo di battaglia di milioni di pubblicità e di altrettanti discorsi; la formula infatti risulta affascinante, nonostante racchiuda in sé il senso dell'affanno. Volendo tralasciare il fatto che l'utilizzo del verbo "inseguire" fa sì che si dia per scontato che i sogni stiano andando in direzione opposta rispetto a qualcosa o a qualcuno. E quel qualcuno di norma siamo noi.

E se i sogni invece ci venissero incontro?

Da bambina facevo tante cose stupide da bambini, di quelle che si estinguono col tempo, tipo:

-piangere come una disperata (quest'abitudine non può definirsi estinta, a onor del vero)
-lanciare o distruggere oggetti per la rabbia (successivamente mia madre tentava giustamente di distruggere me)
-fare a botte con mia sorella (ha sempre vinto lei, anche se in quanto a dimensioni era un terzo di me)
-camminare di ginocchia sull'asfalto (ogni tanto il desiderio mi torna, soprattutto se ho avuto la brillante idea di uscire coi tacchi)
-eccetera eccetera (so di non essere così originale da aver bisogno di stilare un elenco completo delle incredibili attività alle quali mi dedicavo)

ma al di lá di queste cosette da poco, mostravo anche una certa propensione all'uso ragionato delle facoltà verbali.
Sì, nei momenti in cui stranamente non cercavo di fare in modo che i miei genitori mi dimenticassero accanto a un cassonetto, mi lanciavo nella scrittura e quando mi chiedevano cosa avrei fatto da grande, senza esitazione rispondevo:"Voglio fare la scrittrice".
Nessun vorrei, nessun mi piacerebbe, nessun sogno di diventare.

VOGLIO.

"L'erba voglio non cresce neanche nel giardino del re." Tanto piacere, evidentemente il re non usa il fertilizzante giusto.

E quindi io scrivevo temi, storie, poesie.
Inventavo di sana pianta anche aneddoti sulla mia famiglia, e per fortuna i miei avevano l'abitudine di rileggere i compiti prima che li portassi a scuola, altrimenti a quest'ora sarei ancora in mano agli assistenti sociali.
Una volta, tanto per dirne una, scrissi che durante i pranzi a casa mia sorella si rifiutava di mangiare e mio padre si arrabbiava moltissimo e gridava come un pazzo, fino a che la vicina spaventata non chiamava la polizia. Nel frattempo, secondo il mio racconto mia madre giocava a carte. Certo. Da sola poi, povera squilibrata.

Ovviamente i pranzi in famiglia sono sempre stati tutt'altro che spiacevoli, ma chissà perché io mi ero convinta che il mio fosse proprio un modo carino di descriverli.
E poi scrivevo di coccodrilli a cui veniva il tetano (probabilmente cercavo di convincermi che qualcosa di buono nel fare il vaccino dovesse pur esserci), pulcini divorati da serpenti che poi li rigurgitavano per compassione...mille e una assurdità all'insegna del gusto dell'orrido.
Eppure la mia è stata un'infanzia più che felice. Che l'ottimismo sia una dote innata?

Adesso che sono (per certi versi) cresciuta, continuo a mescolare le parole a mio piacimento sulla carta, ma ho perso quella caparbietà che mi spingeva a dire VOGLIO diventare una scrittrice. Può darsi che sia successo perché il mio vocabolario si è arricchito e alla parola "scrittrice" si sono aggiunte "talento", "lavoro", "successo", concetti di cui da bambina non avrei mai immaginato di dovermi curare.

Oggi mi dicono che il talento è la "conditio sine qua non" per diventare scrittori, e da qualche anno ho cominciato a domandarmi se nel mio album di figurine CELO o MANCA.

Comunque vada,
se manca, bé...io mi accontento del tunnel carpale.

domenica 22 gennaio 2012

Scrivere

è un po' fare alla guerra
e un po' fare all'amore.

Puoi imbracciare una penna
o abbracciare una donna

così avrai la tua storia

da lasciar vivere
oppure uccidere

col tuo fucile a getto d'inchiostro.

mercoledì 18 gennaio 2012

Una giraffa per amica.

Mai fidarsi delle amiche che accettano di venire a prendere un the a casa tua. C'è il rischio che arrivino con l'intenzione di diventare donne. Sì, per oltre vent'anni sono state femmine, nel senso che hanno sempre avuto la vagina e non il pene ma per il resto tra loro e che ne so, la femmina di una giraffa non è che ci fosse tutta 'sta differenza. Non perché siano brutte o rozze o che, semplicemente sono sempre state ragazze acqua e sapone, naturali...un po' wild, insomma. Poi un giorno arrivano e ti dicono tutto d'un fiato:"Oggi mi fai i baffi le sopracciglia e la manicure." Punto. Non è che te lo chiedano, è diverso: te lo ordinano. Poco importa che poi aggiungano:"No vabbé, se ti va..." con quella facciotta languida. Ormai sei in trappola. Eccchessaràmmai direte voi, incoscienti. Prova a mettere lo smalto a una giraffa e poi ne riparliamo. La devi prima addomesticare, tanto per essere chiari. Invece non hai il tempo, la tua amica è là che esige quello che ti ha appena richiesto. Dici: "Va bene, ma devi lasciarmi fare". Sì Sì certo, ti risponde la stronza. Inizi dalla ceretta al labbro e dopo trenta secondi già pensi che davvero avresti preferito che al posto suo ci fosse stata la famosa giraffa. La belva che hai in casa ti stringe il braccio, ti trattiene la mano, si dimena, urla dal dolore, si lamenta, si gira, ride, dice aspetta...ROMPE I COGLIONI. Di rimando tu la strattoni, cerchi di bloccarle il braccio, sospiri, t'incazzi, le dici che adesso la molli lì con la cera attaccata al muso. Evvai, mi è sempre piaciuta la lotta libera. Alla fine ce la fai, minacci di non continuare con le sopracciglia e il resto ma lei ti guarda come se fossi la persona più crudele al mondo e allora cedi. Vai a prendere la pinzetta e cominci. La pazienza l'hai persa già da un pezzo, quindi le metti una mano in fronte e spingi per farle sollevare il mento e vedere meglio. Lei sembra piuttosto contrariata e si contorce e strizza gli occhi come se avessi appena tentato d'impalarla, poi si rilassa un secondo e tu strappi. "Mi raccomando eh? Non fare cose strane che se poi sto male ti uccido". Pure. Devi anche fare un buon lavoro, mentre lei parla corruga la fronte ride e balla la lambada, magari. Riesci a toglierle sei peli in tutto, tre da una parte e tre dall'altra. Bé oh, cazzi suoi a un certo punto. Ti prepari alla manicure. Nel frattempo lei si guarda allo specchio e non è pienamente soddisfatta del risultato delle sopracciglia, quindi prende la pinzetta e fa da sè. Oh, questo si che è addomesticamento. Tiri fuori dal tuo beauty-case la limetta da unghie e la tua amica strabuzza gli occhi come se avessi sfoderato la sciabola di Gengis Khan. "Che c'è?" ti domandi mentre sposti lo sguardo sull'oggetto che hai in mano e che ha provocato cotanta reazione. A momenti credi che la lima possa essersi trasformata in un coltello. "No quella cosa che sfrega sulle unghie mi fa troppo senso" e accompagna la frase con una colorita espressione di disgusto. Eh ho capito bimba mia, ma forse abbiamo idee diverse su cosa significhi la parola "manicure". Resti immobile nella tua perplessità, lei è già passata a guardarsi i peli delle braccia e sta dicendo che forse dovrebbe eliminare anche quelli. Dai una sbirciata e vedi due minuscoli peletti in mezzo al deserto. Senti che ti stanno gridando "ti prego, risparmiaci!", ed è quello che fai rivolgendo alla tua amica giraffa un'occhiata di profondo sdegno. Dimentica quasi subito le braccia e torna alle unghie. Lo smalto? Comandi! Lo stendi con attenzione, prima la base poi il colore -due passate- poi il protettore, e la bestiaccia nella sua abissale ignoranza mette a dura prova i tuoi nervi domandandosi perché mai così tanti strati e che esagerazione e le unghie le diventano spesse così e quanto tempo per asciugare e si fa tardi e di qua è di là. Finisci quando sei a un passo dall'omicidio preterintenzionale. Lei osserva attentamente il cambiamento delle sue mani e conclude con un sonoro "BAH". Le spieghi che deve farci un po' l'occhio visto che è la prima volta, ma lo scetticismo non l'abbandona. Vabbé allora vai a fanculo. Gliel'avrai detto quelle trenta volte da quando ha messo piede in casa tua, tanto lo sai che non si scompone e rompe le palle uguale."Allora, lo facciamo il the?"Appunto.

martedì 10 gennaio 2012

Mia nonna dice peli e guai non mancano mai.

Tutto è iniziato sedici anni fa. Me ne accorgo riguardando quella vecchissima fotografia. Un primo piano che anche il peggior serial-killer si sarebbe risparmiato di scattare.
Avevo nove anni ed era il giorno della mia comunione. Sono ritratta a mezzo busto, l'abito bianco che pare da sposa, perché se a nove anni sei alta un metro e sessanta e porti quaranta di scarpe, ebbé bella mia, il rischio è quello. Dicevo abito bianco, capelli scurissimi in stile Maria Piangente e cerchietto rigorosamente bianco, espressione seria, mani intrappolate da guantini bianchi e giunte in segno di preghiera e ora capisco perché.

MA COME VI VIENE IN MENTE di permettere un'umiliazione del genere.

Quella fotografia è la testimonianza scientifica che lo yeti è esistito, e si è pure riprodotto. Eccola là, la sua figlioletta. Un monociglio nero da competizione e dei baffi che Zorro l'avrebbe preso come un affronto personale.

"Bello il bianco sulle brune, SPICCA." I peli spiccano.

Osservo meglio l'obbrobrio impresso per l'eternità e concludo che quella cosa nella foto che non posso essere io sembra che stia chiedendo una grazia. O una ceretta, più facile.

Beata incoscienza, mi facevano andare in giro in quel modo forse nella speranza che un circo mi raccattasse.
Ho dovuto aspettare altri due anni prima che a mia madre venisse in mente che probabilmente era il caso di sradicare quelle setole mostruose prima che sua figlia se ne rendesse conto da sè e la disconoscesse.

La mia prima depilazione è avvenuta tra pianti e disperazioni perché obiettivamente facevo schifo, ma è anche vero che la ceretta sopra il labbro è dolorosa e a undici anni puzzavo ancora di latte, motivo per cui ME NE FOTTEVO altamente di essere la versione junior della donna barbuta. Gli ormoni dormivano tutti all'ombra di quegli arbusti facciali.

Ancora oggi, quando faccio presente alla mamma di quanto fossi un cesso da bambina, la sua risposta è:

"MA COSA DICI, ERI COSI' BELLINA...UNA BAMBINONA."

Mamma, la figlia di Shrek. E non aggiungo altro.
Si sa, ogni scarrafone...il peggio però si verifica ADESSO, alla veneranda età di venticinque anni, quando ti tocca avere un fidanzato e possibilmente tenertelo.

Allora diciamolo: i primi mesi tanta attenzione, calcoli strategici per programmare le cerette negli anni a venire in modo tale da evitare che lui confonda la tua gamba con la zampa del gatto, e poi incastri la depilazione perché sia lontana dal periodo mestruale perché non è che vai a dissanguarti davanti all'estetista, e su e giù e aspetta lui la prossima settimana non lo vedo perché è là, ah ma non posso farla adesso è troppo presto sono corti vabbè vado di rasoio, oddio sono un cactus e così via fino alla perdita dei sensi e del senso anche. Quasi quasi anche del sesso, che ti sei rotta le palle di tutte 'ste manovre e a momenti dici "io non scopo più". Oppure scopo vestita.

Poi succede che dopo diversi mesi di storia a distanza, per una serie di circostanze il suddetto fidanzato viene ad abitare con te. E tu sei così felice e romantica e vai in brodo di giuggiole.

Fino a quando ti rendi conto che devi trovare una soluzione al problema forestale. Le prime settimane ci provi eh, con impegno pure; dopo poco, però, capisci che non ce la puoi fare tra ricrescite e peli incarniti e reincarnazioni di antenati dei peli che avevi a dieci anni e bubboni e schifezze varie.
E rinunci. vergognandoti come una ladra, ma rinunci. Questa è la verità.

E lui, come la prende?

Lui non fa una piega. Lo stronzo. Per mesi sei IMPAZZITA per far combaciare tutto e mostrarti non dico perfetta ma quasi e scopri solo ora che sei al limite della sopportazione che tutti i tuoi sforzi non servivano a niente. Vai bella, se ti piace spalare la neve al Polo Nord, chi te lo impedisce.

"Amore no dai non mi toccare le gambe, ho i peli..."
"Ma che me ne frega dei peliiii!!! Ma poi dove li vedi?! Tsk...e comunque tu sei bellissima in qualunque modo..." occhi da gattomorto inclusi.

E NO, SERPE MALEFICA, COME MINIMO MI DEVI DARE UN PO' DI SODDISFAZIONE DICENDO CHE TRA ME E TEDDY BEAR E' PIU' SEXY LUI!
Ho sprecato energie, tempo, dolore, posizioni improbabili, sudore, soldi...ho anche permesso a quella cretina dell'estetista di prendermi per il culo...adesso ti faccio vedere io, me li faccio crescere fino a poterli usare per legarci degli oggetti e usarli al posto delle tasche.

Ti ritrovi a raccontarlo all'estetista che commenta dicendo "Sì è vero, ai maschi importa poco dei peli."

Soffochi la voglia di gridarle: "AUTOGOALLLLL!" e di fuggire in strada mezza nuda, con una gamba perfettamente liscia e un'altra ricoperta da un sottile tappeto erboso.