domenica 22 luglio 2012

UniVersITA'.

L'università non mi ha insegnato niente
tanta teoria
ben poca onestà intellettuale
e bocche piene
di quello che dovresti diventare

-ed era talmente evidente
che essere in gamba
rappresentasse un problema
esclusivamente mio-.

In ogni caso da loro nulla
che somigliasse almeno un po'
alla vita reale.

Quella
me l'hanno raccontata a casa
l'eterno ricominciare di mia nonna
mai un lamento
a nascondere i dolori sotto il tappeto,
la polvere mai
che la pulizia è la prima cosa.

E le litigate furiose con mia sorella,
fare i conti oggi coi baci che non le ho dato ieri
e che adesso le spedisco in Francia.

Il Tempo
quello che mio padre non riavrà mai indietro
ed io con lui,
poi quello discreto come il battito di un cuore vicino
scandito dai gesti perfetti di mia madre
intenta a riparare i motori
di una famiglia
quand'era un po' ingolfata.

Ho imparato a stare al mondo
anche al bar
la domenica mattina,
prendendo lezioni a spezzoni
da gente di passaggio
-esperienza in pillole
mandata giù insieme a un caffè-.

Sono diventata donna
dentro un letto caldo
di respiri molto diversi
dal meccanico espandersi dei miei polmoni.

Ho curiosato così
per vedere cosa c'è intorno
e tuttora lo faccio.

Della vita ne so comunque poco
ma il mio orizzonte lo costruisco perpendicolare a quello del sole
a rendere tutto piuttosto relativo

a parte il fatto che

anche la gatta ha saputo dirmi di più
di uno qualunque dei miei professori.









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