mercoledì 25 luglio 2012

Donne, dududu.

Se entri in un bar e ti accorgi che la gente ti guarda come se nel locale fosse entrato un UFO, le possibilità sono essenzialmente tre:

-sei di una bellezza disarmante;
-sei di una bruttezza ugualmente sconcertante;
-indossi dei tacchi eccessivi considerando la tua statura di partenza.

Chiaramente nel mio caso si tratta della terza opzione.
Eppure al negozio non mi erano sembrati così alti. Mah.

Fatto sta che quando racconto l'imbarazzo di questi momenti (sopportabile per carità, non sto dicendo che crei un disagio sociale di chissà quale portata), normalmente l'interlocutore risponde che dovrei essere contenta.

"Vuoi mettere? Ti guardano, vuol dire che colpisci!"

Ok, sarà. Sarà anche che penso che se nel bar ci entrasse un brontosauro in diretta dalla Preistoria, probabilmente l'effetto sarebbe simile e non sarebbe certo indicatore di un apprezzamento a livello estetico.
Lo so, adesso si esagera, ci mancherebbe solo che avessi problemi di autostima tali da pensare di somigliare a un dinosauro.
Il discorso comunque è che ripeto l'altro giorno, quando li ho comprati, quei trampoli non sembravano tanto trampoli. E invece ieri mattina, subito dopo averli indossati mi sono sentita pronta ad accompagnare un carro allegorico.

E fin qui tutto sommato niente di drammatico, se ci ostiniamo a trascurare il modo in cui cammino: chi osserva potrebbe credere che io stia tastando un terreno disseminato di mine anti-uomo. E-le-gan-te, sì.
Quando poi la non-abitudine a portare tacchi così alti inizia a provocarmi dolori lancinanti ai piedi, l'effetto immediato è il rimando all'immagine di un soldato che, ferito a morte, arranca sui suoi ultimi passi. Aggiungiamoci che il più delle volte alle scarpe alte sono abbinati indumenti tutt'altro che comodi e l'effetto tortura cinese è assicurato.

Situazioni che spiegano ampiamente, è proprio il caso di dirlo, il CONFLITTO interiore che attanaglia una donna (?) divisa tra il desiderio di esprimere una femminilità un po' impolverata e la voglia di distruggere una per una e con grandissima soddisfazione le cause di quella sofferenza autoinflitta.

domenica 22 luglio 2012

UniVersITA'.

L'università non mi ha insegnato niente
tanta teoria
ben poca onestà intellettuale
e bocche piene
di quello che dovresti diventare

-ed era talmente evidente
che essere in gamba
rappresentasse un problema
esclusivamente mio-.

In ogni caso da loro nulla
che somigliasse almeno un po'
alla vita reale.

Quella
me l'hanno raccontata a casa
l'eterno ricominciare di mia nonna
mai un lamento
a nascondere i dolori sotto il tappeto,
la polvere mai
che la pulizia è la prima cosa.

E le litigate furiose con mia sorella,
fare i conti oggi coi baci che non le ho dato ieri
e che adesso le spedisco in Francia.

Il Tempo
quello che mio padre non riavrà mai indietro
ed io con lui,
poi quello discreto come il battito di un cuore vicino
scandito dai gesti perfetti di mia madre
intenta a riparare i motori
di una famiglia
quand'era un po' ingolfata.

Ho imparato a stare al mondo
anche al bar
la domenica mattina,
prendendo lezioni a spezzoni
da gente di passaggio
-esperienza in pillole
mandata giù insieme a un caffè-.

Sono diventata donna
dentro un letto caldo
di respiri molto diversi
dal meccanico espandersi dei miei polmoni.

Ho curiosato così
per vedere cosa c'è intorno
e tuttora lo faccio.

Della vita ne so comunque poco
ma il mio orizzonte lo costruisco perpendicolare a quello del sole
a rendere tutto piuttosto relativo

a parte il fatto che

anche la gatta ha saputo dirmi di più
di uno qualunque dei miei professori.









lunedì 16 luglio 2012

Le mille e una notte.

Un taccuino
la mia lampada di Aladino.

Luogo d'espressione
tra le altre cose
di desideri

quelli che sulla realtà non si fanno strofinare.




(Ed è magia vera
un genio che non serve
per cambiare il mondo intorno
quando in mano hai una penna).




venerdì 13 luglio 2012

Atletica leggera (mica tanto)

Penso di non aver mai toccato qualcosa di diverso
da un'opportunità

quale che fosse

(più o meno infinito)

e poi ho sempre ricominciato
dal punto di partenza

impossibile trovarne
due volte
uno uguale.

Corro così
nell'unico stile che conosco

la mia staffetta perpetua
di occasioni che non perdo

e quello che più mi stupisce

è che il senso di tutto
la forza motrice

non sia mai stato un traguardo.