martedì 29 novembre 2011

Oltre alle gambe c'è di più.

Te ne accorgi quando arriva la Sindrome dell'Abbandono, quando inizi a rimuginare su particolari insignificanti, anzi no, inesistenti.

"Non mi ha detto che mi ha pensato tanto oggi"
"Mmm, si comporta in modo strano"
"Non è stanco, sta cercando di evitarmi"
"Una mattinata intera senza un messaggino? C'è qualcosa che non va"
"Non è vero che non ha capito, non mi sta ascoltando. Che stronzo"

Quindici secondi dopo aver formulato l'insano pensiero, la res cogitans tira il freno a mano per dire "ALT! Ci risiamo. Datti una calmata, stai vaneggiando più del solito. Sono gli ormoni. Rompono i coglioni una volta al mese da tredici anni, perchè non ti ci abitui?!"

Perciò tu lo sai che sono LORO, i maledetti, però t'incazzi come una belva quando la gente (e in modo particolare il tuo ragazzo, lui lo sgozzeresti proprio, quando te lo dice) risponde al tuo nervosismo ingiustificato chiedendoti: "Hai le mestruazioni per caso?"
La replica immediata è, intonata a volume spropositato tanto per non dare ulteriori conferme all'interlocutore:"CHE C'ENTRANO LE MESTRUAZIONI?! SEMPRE CON LA STESSA STORIA! QUANDO NON SAI CHE DIRE TIRI FUORI 'STE CAZZATE!".
Sì, infatti.
A quel punto te ne vai con un motore a scoppio nel cervello e le sopracciglia increspate. Sembri un fumetto demenziale e lo sai. Anche per questo, forse, nel giro di tre minuti ti sgonfi come un palloncino vecchio. La differenza rispetto all'esordio, però, è che adesso un motivo per rimuginare ce l'hai veramente, visto che ti sei comportata come un chihuahua isterico e il povero cristo che ha avuto la fortuna di beccarti nel momento migliore, adesso di te ne ha le scatole piene.

Questo ragionamento ti mortifica definitivamente. Ti scende una tristezza che neanche dovessi portare sulle spalle tutti i mali del mondo. A salvaguardia della tua moribonda dignità interviene ancora una volta la vocina coscienziosa:"Ehi, di emozioni fondamentali ne abbiamo sei: gioia, disgusto, paura, rabbia, sorpresa, tristezza. Dobbiamo passare per tutte, o visto che due ce le siamo già giocate possiamo optare direttamente per la prima, adesso, prima che la tua vita sociale sia rovinosamente compromessa?"

La risposta chiaramente è NO.
Ti trascini come una biscia dal ragazzo, amica/o, familiare su cui hai infierito e non trovi niente di meglio da fare che commuoverti. Sbrodoli come una lumaca. Sei moscia come una lumaca senza guscio. Rincari la dose facendo la voce da bambina cretina (se hai a che fare col tuo ragazzo o con la mamma, con gli altri tenti di contenerti ma il tuo sguardo da triglia lessa è quasi peggiore) iscrivendoti ufficialmente all'Albo dei Patetici.

La persona che hai di fronte ti vuole molto bene, ti conosce anche di più e sa che normalmente sei abbastanza in asse, per quanto la tua dote migliore non sia sicuramente l'autocontrollo.
Ti dice "Ok, non ti preoccupare, non mi sono mica arrabbiato" e nel frattempo pensa a quanto gli fai pena (questo lo pensa solo se è un uomo, perchè le donne conoscono benissimo quella sensazione di furore che ti scatta prima e durante il sanguinolento periodo).
Se sei fortunata azzarderà anche un abbraccio, ma ricordatelo bene, non è amore. E' compassione.

Quasi sicuramente da allora in avanti il soggetto in questione non oserà contraddirti neanche se ti verrà in mente di dirgli che hai visto il tuo gatto trasformarsi in uno scoiattolo volante. Quando succederà dovrai riconoscergli quantomeno un'incontenibile voglia di vivere, o sopravvivere, dal momento che starà cercando in tutti i modi di non farsi sbranare da te.

Ecco, tutto questo per precisare che in tempo di mestruazioni la democrazia non esiste. Al contrario, vige una dittatura contrastabile con un unico mezzo: la resistenza.

Come si dice, cicli e ricicli storici, giusto?

venerdì 25 novembre 2011

Nell'epoca insalubre

Nell'epoca insalubre
delle promesse disattese
ho un Io vanaglorioso
da tenere a bada.

Pare sia normale
costruire il futuro con mattoni di gesso.

Tu preferisci usarli per scrivere il tuo dissenso
sulle pareti ipotetiche
della tua vita.

Guardi la polvere che ti rimane addosso
incollata ai polmoni e alle dita
è come borotalco,
meno dolce.

Concludi sconsolato

in questo mondo
l'apparenza inganna
il più delle volte
anche me.

martedì 22 novembre 2011

J'accuse.

La rabbia sale specialmente quando cammino su strade che conosco alla perfezione, quando non ho bisogno di prestare attenzione al mio percorso. Succede quasi ogni mattina.
La rabbia è un'emozione corrosiva, ti scava buchi dentro che poi ti metti a riempire con quello che di bello ti capita nel corso della giornata. E di bello c'è sempre qualcosa, non è questo il punto. Il fatto è che le toppe si vedono e raramente il prodotto finale è migliore di quello iniziale.
Scrivo queste parole perchè ho venticinque anni e almeno il doppio di sogni. Un anno fa erano il triplo.
Scrivo perchè lì dove muoiono i sogni ci sono i buchi. E scrivo anche perchè oggi sono costretta ad arrabattarmi perchè non se ne facciano altri e passo il mio tempo a tappare quelli che ci sono già.
Eppure sono giovane, libera, amata, piena d'interessi. Fortunata, in una parola. Come me, tanti amici e amiche che condividono altri pezzi di una buona stella che ringraziamo ogni giorno, perchè non siamo degli ingrati nè degli stupidi.
Ma chi crede che quello che abbiamo sia sufficiente, si sbaglia. Basta un solo nemico a svalutare il nostro ricco bottino. Si tratta di un nemico che si maschera dietro facce sorridenti e falsamente bendisposte, dietro le bugie di un sistema che si riempie la bocca di paroloni dei quali non conosce il significato. Il nostro nemico si chiama Povertà di Orizzonti.
Lasciamo correre un po' la fantasia. Immaginate il Sole senza l'orizzonte. Avrebbe senso? Eppure il sole è pieno di energia, dà calore, è estremamente luminoso, indipendentemente dal resto. Ma il Sole senza un cielo e un orizzonte è niente.

Torniamo alla realtà, a quella dei famosi "giovani d'oggi". Se ne dicono di ogni.

"I giovani d'oggi non hanno voglia di fare niente."
"I giovani d'oggi pretendono troppo."
"I giovani d'oggi hanno troppo e non sanno cosa vuol dire guadagnarsi il pane."
"I giovani d'oggi non hanno più valori."
"I giovani d'oggi non hanno obiettivi."
"I giovani d'oggi sanno solo lamentarsi ma poi non fanno niente per cambiare le cose."

Una marea di minchiate.

Esiste una forza che spinge le persone di qualunque età, una forza che si chiama MOTIVAZIONE. A Psicologia ti insegnano quanto è importante, quanto sia difficile andare avanti senza. T'insegnano anche cosa riesce a motivare le persone: la considerazione, il rispetto, l'equità, la soddisfazione, la percezione di utilità per se stessi e per gli altri, i riconoscimenti. E tante altre belle cose.

Teniamolo bene a mente, quando spariamo a zero.

Prendiamo il giovane tipo italiano, quello che ha avuto la fortuna non da poco di crescere in un ambiente equilibrato, che ha completato gli studi superiori e si è iscritto all'università. Può darsi che abbia perso una sessione d'esami, anche due, ma è una persona che ha voglia di fare e lo fa. Ce ne sono milioni, di persone così. Studenti di qualunque facoltà.
Lasciamolo qualche anno a rendersi conto di dove sia finito.
Diamogli il tempo di accorgersi che le gerarchie non hanno la funzione di permettere la trasmissione dei saperi dai più anziani ai più giovani ma vengono utilizzate per stabilire dei confini netti e distinguere tra privilegiati e non. Lasciamolo per settimane a cercare di rintracciare un professore per e-mail o al ricevimento settimanale.
Guardiamolo mentre legge la prima di una serie di risposte sgarbate ed evasive. Accompagniamolo agli esami, dove il figlio di Mazinga prende trenta senza spiccicare quasi parola.
Nel frattempo diciamogli anche che quella bellissima ricerca alla quale avrebbe voluto partecipare non si farà, perchè mancano i soldi che non si sa che fine abbiano fatto, perchè una volta c'erano.
Insegniamogli tanta di quella teoria da riempirci un'enciclopedia, ma non pensiamoci neanche a fargli fare qualcosa di pratico e lasciamo tutto in mano ai settantenni. Tanto un medico mica ha bisogno di imparare il suo mestiere. Facciamogli inventare di sana pianta una tesi perchè i relatori non hanno il tempo di seguire i loro laureandi e anche perchè "la tesi non la legge nessuno". Impediamogli di parlare, perchè il coltello dalla parte del manico non ce l'ha e nonostante tutto lui ha ancora voglia di laurearsi. E se parla, diciamogli che la sua è polemica sterile.
Osserviamolo sorridere il giorno della discussione.
Mandiamolo a fare praticantato o tirocinio per l'iscrizione all'Albo, oppure mandiamolo direttamente alla ricerca di un lavoro.

Nel primo caso coloriamo i siti degli Ordini di regolamenti su come i tirocini professionalizzanti dovrebbero essere, e poi facciamo esattamente il contrario di ciò che abbiamo formalmente istituito:

-Diamogli dei compiti che anche un invertebrato sarebbe in grado di fare
-Lasciamolo delle ore a fare niente
-Non spieghiamogli perchè deve svolgere certe attività, nè quando nè come
-Teniamolo in azienda, in ufficio o in ospedale il doppio delle ore in cui dovrebbe essere presente
-Parliamo a voce bassa in sua presenza quando non vogliamo che ascolti le nostre conversazioni
-Evitiamo di ricompensarlo anche quando fa qualcosa di buono.

Nel secondo caso, invece, diamogli un lavoro malretribuito, magari lontano dalle sue aspettative, stipuliamo un contratto a tempo oppure facciamolo lavorare in nero. Diciamogli anche che è fortunato, perchè con la crisi lavoro non ce n'è. Se è donna, al colloquio chiediamole se ha intenzione di fare dei figli. Se l'assumiamo, facciamo in modo che il suo stipendio sia inferiore a quello medio degli uomini.

In ogni caso, alla sua frustrazione rispondiamo col solito: "E' così ovunque, è la gavetta." Non serve, per consolarlo, credeva che gavetta fosse lavorare tanto, anche senza retribuzione, ma ricevere in cambio esperienza e competenze.
Dovrà rivedere un'altra delle sue convinzioni. L'ennesima.

Lasciamolo quindi a ribollire di rabbia e di sogni mancati.
Invitiamolo a tenere la testa bassa, a guardare a terra e a dimenticare quell'orizzonte che prima distingueva benissimo.
Ogni tanto ricordiamogli che la motivazione nella vita è fondamentale. Prendiamolo per il culo, forse a un certo punto comincerà a piacergli.

...

Già ti ci vedo, a leggere le mie parole. Ti sembreranno estreme, forse ti ricorderanno una litania e penserai di me quello che ti fa comodo pensare: che ognuno ha quello che si merita, e che non a tutti succede quello che ho raccontato.
E' vero, non succede a tutti. Poco importa. A me basta che succeda a molti.

E ti dirò di più

So di non meritarlo
so che mi difenderò fino all'ultimo
perchè io riesca a concedere al mondo
quanto di buono ho imparato
quello che so fare
quello che ho da dire
e combatterò anche perchè tu
possa dire la tua.
Tu che sei la goccia nell'oceano
quella che ci crede
in me, in te e in noi
non ti lascerò sprofondare con loro.
Non permetterò a nessuno
di farmi rinunciare alla mia intelligenza
lotterò anche per la tua
noi
non diventeremo come te
venduto alla disillusione.
Non lo faremo
perchè noi siamo Poveri di Orizzonti
ma voi non sarete mai ricchi come noi.
Noi siamo I GIOVANI D'OGGI.

lunedì 7 novembre 2011

LA TAGLIOLA

Un sorriso metallico scattò sul volto rugoso. Se gli avessero chiesto di descriverlo, avrebbe detto che gli ricordava la tagliola a denti stretti, la stessa che tante volte aveva visto chiudersi implacabile sulla zampa della volpe, o quel che era. Quell’aggeggio infernale, che aveva posizionato in punti strategici per vent’anni, lo strumento che lo faceva sentire forte e capace di decidere della vita o della morte di un essere vivente, adesso era lì, di fronte alla sua faccia, minaccioso come non mai, a fargli passare in rassegna gli occhi e i lamenti morenti degli animali che aveva ammazzato.
Aveva capito da un pezzo che non avrebbe mai più cacciato. Era diventato la preda, la cavia da esperimento in attesa di sevizie che dimostrino al mondo l’inutilità della vita quando non è la tua.
Il suo aguzzino non si accontentava di sorridergli a quel modo, lo torturava guardandolo con gli occhi di un passato che era stato abortito. E gli raccontava delle storie, mentre lui se ne stava legato sul gabinetto. In questo modo, gli aveva detto il suo carceriere, non dovrò prendermi la briga di pulire la tua merda.
Da quanto andava avanti così? Una settimana, un mese? Seymour non lo sapeva, e aveva smesso di chiederselo. Desiderava soltanto che la fine arrivasse presto, e che quei racconti cessassero.

“Ti ricordi, Seymour…eri solo un bambino. Tuo padre cercava d’insegnarti l’arte della caccia, e tu cosa facevi? Te ne stavi tutto il tempo a salvare quaglie e cerbiatti dalle sue trappole. Poi tentavi di distruggerle, e tuo padre non faceva che riempirti di botte. La senti questa canzone, Seymour? E’ la stessa che c’era in quei giorni, solo che la cantava tua madre. Era lei a consolarti, quando piangevi e non riuscivi a muoverti per giorni interi a causa del dolore del bastone di tuo padre. Era quello che voleva, immobilizzarti per impedirti di rovinargli la festa nel bosco. Gli piaceva ammazzare, a tuo padre. E anche a te piace farlo, vero? Cantala con me, Seymour, è una bella canzone, non trovi? Aveva una bella voce, tua madre.

Talk to me softly, there’s something in your eyes…Don’t hang your head in sorrow,
and please don’t cry…I know how you feel inside,
I’ve been there before…

E poi, Seymour? Cos’è successo poi?”

Lui gridava sempre, a quel punto, per farlo smettere. E la tagliola scattava. Quel maledetto ghigno.
Don’t cry dei Guns N’ Roses, sarebbe stato meglio morire, che ascoltarla ancora.
Rivedeva il volto pulito di sua madre, le sue mani morbide che sembravano poter lenire qualunque dolore, fuori e dentro di lui.
E pensare che l’aveva cancellata, quel giorno e per vent’anni.
Era un adolescente sbarbato, una volta, ma coraggioso. Non aveva mai smesso di distruggere le trappole di suo padre, si era abituato alle botte, alla puzza di vino quando lo picchiava, ai tentativi di sua madre di soffocare i gemiti di dolore quando la violentava. Seymour ci riusciva perché aveva uno scopo. In ogni uccello, volpe o cervo che salvava, ritrovava la gratitudine che vedeva negli occhi di sua madre, quando lo stringeva forte e gli faceva capire che riusciva ancora a vivere solo per merito suo. Quanto avrebbe voluto salvarla.
E quel giorno aveva corso a fiato perso tra gli alberi, non aveva badato ai rami che lo graffiavano, ai sassi che lo facevano inciampare. Aveva corso e basta, al primo grido.
Aveva da poco liberato un cinghiale, ci aveva impiegato un’ora buona, perché quello era grosso e spaventato e ferito e aggressivo.
Ce l’aveva fatta, alla fine. L’aveva guardato allontanarsi grugnendo, e aveva sorriso alla vita, che a volte sapeva essere così bella.
Poi l’aveva visto. Suo padre era rimasto a osservare tutta la scena. Gli aveva fatto cenno di sì col capo, sembrava incredibilmente tranquillo. Si era allontanato, col suo fucile.
Pochi minuti dopo, uno sparo. E l’urlo disperato di sua madre.

“L’hai ammazzata tu, Seymour, lo sai? Non avresti dovuto contraddire ancora tuo padre. Te lo ricordi, il seguito?
Sei riuscito ad abbracciarla un’ultima volta, mentre il sangue usciva e ti sporcava le mani. Per la prima volta hai cantato tu per lei, Seymour.

Give me a whisper,
and give me a sigh…Give me a kiss before you
tell me goodbye…Don’t you take it so hard now,
and please don’t take it so bad…I’ll still be thinkin’ of you
and the times we had, baby


E’ stata la sua unica richiesta, prima di crepare al posto di un cinghiale. E’ stata dura, eh? Eppure quale metodo più efficace, per insegnare a un figlio l’arte della caccia? Da quel giorno non hai fatto altro che uccidere qualunque cosa viva ti passasse davanti.”

Seymour piangeva, per la prima volta dopo vent’anni. Tutto il passato che non gli era stato concesso di vivere gli si riversava addosso, gorgogliando come un tubo di scarico intasato.
Dopo la morte di sua madre, aveva perso lo scopo. Ne aveva trovato un altro, per puro spirito di sopravvivenza. Era diventato il cacciatore migliore del paese. Spietato, gelido. Nessuna donna si era mai avvicinata a lui. Poco importava. Lui non amava, non ne aveva bisogno.
Viveva all’aperto, i suoi amici erano un coltello, un fucile e una tagliola, la stessa da cui aveva liberato il cinghiale.

“Tuo padre, Seymour, ricordi, è morto pochi anni dopo. Hai trovato il suo cadavere nella vostra casa, forse un infarto. L’hai dato in pasto alle bestie del bosco. Crudele, il piccolo Seymour. E pensare che sembravi un agnellino, tanti anni fa. Si cambia in fretta.
E di me che ne dici, ti sembro cambiato da allora?”

Seymour era sicuro di non aver mai visto il suo torturatore prima che lo sequestrasse. Gli ripeteva ogni giorno che non sapeva chi fosse, che non avrebbe mai potuto dargli la risposta che voleva, perché il ricordo non c’era, nella sua mente. Non era mai esistito.
E alla fine crollava, esausto, si addormentava e sognava continuamente sua madre. Sua madre e il suo calore, sua madre che gli chiedeva perdono, per cosa poi, sua madre che cantava, sua madre che moriva.
Si svegliava di soprassalto, quando l’uomo che lo teneva prigioniero lo schiaffeggiava col suo sorriso di tagliola arrugginita.
Cosa vuoi da me, gli gridava, perché non mi uccidi e basta, chi sei.
Poi aveva capito.
Un particolare, insignificante e fondamentale, l’aveva catapultato a quell’attimo lontanissimo. Quella voglia viola, sul collo del suo aguzzino, era la stessa che aveva attirato la sua attenzione tanti anni prima, quando aveva spiato sua madre e quell’uomo sconosciuto tenersi allacciati come se non ci fosse stato un domani.
E un domani non c’era stato.

“Tua madre era innamorata di me. Io di lei, Seymour. L’amavo più di ogni altra cosa al mondo. Non era facile stare con lei, sai? Riuscivamo a vederci solo quando tuo padre andava a caccia nella riserva di Shaw. Rimaneva fuori tutto il giorno, quel porco, e lei finalmente non era terrorizzata all’idea che tornasse da un momento all’altro. Le chiedevo ogni volta di fuggire via con me, di lasciarsi tutto alle spalle. Meritava una vita, tua madre.
Aveva troppa paura, e non ti avrebbe mai lasciato. Le dicevo che saresti venuto con noi, che ti avrei protetto come figlio mio. Non sono mai riuscito a convincerla, sai Seymour? Temeva che tuo padre avrebbe setacciato palmo a palmo ogni luogo conosciuto e non avremmo mai avuto pace. Un giorno fece un errore, l’unico della sua breve vita. Mi disse che se non avesse avuto un figlio, avrebbe tentato la fuga, ma il senso di responsabilità nei tuoi confronti le impediva di fare una mossa tanto azzardata, non voleva che ti succedesse qualcosa di peggio di quello che stavate vivendo. E’ stato un inferno, Seymour.
Una volta ti teneva in braccio, avrai avuto poco più di un anno, e la sentii cantare per la prima volta quella canzone.
Capii che amava te più di quanto avrebbe mai amato me. L’avrei accettato, Seymour, se lei non fosse morta a causa tua.
Da quando è successo, non ho fatto altro che sognare di ucciderti. Ti ho odiato e negli anni l’odio non si è spento. Mi hai rovinato.
Sfortunatamente, però, sei sempre stato troppo abile col fucile e col coltello, e non mi sono mai arrischiato ad avvicinarmi, fino a quando la tagliola non ti ha tradito, scattando al momento sbagliato e mozzandoti le dita della mano destra. Ho capito che era finalmente arrivato il momento, Seymour.
Adesso pagherai. Per me, per lei, per noi e anche per il bambino che eri e che hai ucciso insieme a tua madre.”

I denti della vecchia tagliola affondarono lentamente nel collo di Seymour. Il sangue iniziò a bagnargli le spalle. Guardò il suo carnefice ancora una volta, e realizzò che anche lui, il vecchio Devis Slinger, stava piangendo.
Chiuse gli occhi per respingere le lacrime amare, mentre sentiva rinascere nel petto il ragazzino di un tempo.
In sottofondo, la colonna sonora delle loro vite rubate.

But you’ll be alright now sugar,
you’ll feel better tomorrow…Come the morning light now baby,
and don’t you cry tonight.